Esteri
Lockdown, divorzi in aumento in Italia e in calo in Giappone: ecco perché
Vicino Oriente: notizie e tendenze dal mondo giapponese | La convivenza forzata ha messo in crisi molte coppie nel mondo ma, sembra, non quelle giapponesi
Coronavirus, lockdown e aumento dei divorzi
È ormai risaputo che tra gli effetti negativi indiretti di questa pandemia da Covid-19 c’è anche l’aumento delle separazioni. Ovunque nel mondo, la convivenza forzata h24 causa lockdown ha fatto scoppiare parecchie coppie: in Italia alcune statistiche parlano di un aumento dei divorzi del 30% da aprile 2020. Eccezione degna di nota è invece il Giappone, dove non solo i divorzi sono in calo ma molte coppie hanno accolto il lockdown come un’occasione per avvicinarsi di più.
Il problema è ovviamente globale: l’hashtag #coronadivorce che spopola sui social da marzo, cioè dalle prime chiusure forzate in Occidente, raccoglie testimonianze di coppie in crisi da ogni parte del mondo, ma soprattutto dall’Inghilterra (dove già il tasso di divorzi era al 41% prima del virus) e dagli Stati Uniti (45%).
Boom di divorzi in Italia
Ogni società affronta il problema a suo modo: per alcune si tratta di un’istituzione sdoganata ormai da anni, per altre è ancora un tabù. In Italia la questione è doppiamente particolare, perché se da una parte molte convivenze tra fidanzati sono iniziate proprio per non farsi separare per mesi dal lockdown, dall’altra le richieste di separazione sono aumentate notevolmente.
A tal punto che gli addetti ai lavori hanno trovato necessario modificare le procedure tecniche per far fronte a questa mole di pratiche. Proprio durante il lockdown di primavera, il Consiglio nazionale forense ha infatti reso valido il deposito esclusivamente telematico dei ricorsi in caso di separazione consensuale e divorzio congiunto, permettendo a molte coppie di potersi allontanare legalmente senza le consuete lungaggini dovute all’attesa di un’udienza in presenza fisica.
La situazione in Giappone
Al contrario, invece, il Giappone ha visto un calo delle richieste di separazione di quasi il 10% da giugno a oggi rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, secondo i dati comunicati di recente dal ministero della Salute. Ma non solo: un sondaggio pubblicato da The Japan Times ha mostrato che, se il 74% delle coppie giapponesi non ha registrato variazioni nel proprio rapporto a causa delle restrizioni socio-lavorative, solo il 6% ha lamentato un peggioramento e quasi il 20% ha invece tratto beneficio dalla nuova quotidianità.
Chi lo ha affermato, sostiene di aver apprezzato la possibilità di passare più tempo insieme, in coppia o in famiglia, godendosi gli spazi domestici e allentando un po’ i rigidi ritmi lavorativi che, prima della pandemia, costringevano molti lavoratori a stare fuori casa anche 12 o 14 ore al giorno.
Alcuni analisti, infatti, spiegano il fenomeno in due modi. Da una parte, i giapponesi sono universalmente conosciuti come popolo di gran lavoratori, devoti a tal punto da trascurare la propria vita personale pur di garantire il successo aziendale: essere costretti a lavorare meno e stando in casa avrebbe fatto loro riscoprire il piacere dei legami famigliari. Dall’altra, le nuove generazioni, sempre più aperte culturalmente e più indipendenti dal giudizio dei propri genitori, hanno costruito relazioni di coppia più forti con partner scelti esclusivamente per sentimento, senza cedere a quelle tradizioni che prevedevano matrimoni organizzati dai suoceri in difesa di status sociali o economici famigliari, che univano solo legalmente giovani inconsapevoli, magari senza interessi comuni.
Certo non è tutto rose e fiori (di ciliegio): anche le coppie giapponesi hanno difficoltà da affrontare, dalle più piccole alle più serie. Per esempio, basandosi sulla propria esperienza personale, Keisuke Arai ha deciso di mettere a disposizione la propria startup, Kasoku, che mette a disposizione case e stanze da affittare per le vacanze. Col crollo del turismo, quasi tutte le location sono rimaste inutilizzate, così Kasoku ha deciso di proporre alcune sistemazioni a prezzi agevolati per quelle coppie in crisi che volessero decidere di trascorrere del tempo separate, e, ancora più importante, per vittime di violenze domestiche che avessero l’urgente necessità di lasciare la propria casa. In poche settimane, Keisuke Arai ha dichiarato di aver ricevuto oltre 140 richieste, per la maggior parte di donne tra i 30 e i 40 anni.
Insomma, stessa pandemia stessi problemi, dall’Italia al Giappone, dagli Usa alla Gran Bretagna, ma forse quello che cambia è la modalità con cui si è deciso di affrontare le difficoltà. Certo, poi ci sono altre due opinioni che vale la pena riportare: se da una parte il ministro della Salute giapponese si è detto cauto sulla valutazione del calo di divorzi (“può essere che molte coppie stiano aspettando la fine dell’emergenza per procedere con la separazione legale”), un utente anonimo ha dichiarato via social che “con la difficoltà di oggi di trovare una donna single disponibile a sposarsi, non divorzierei mai da mia moglie nonostante le continue litigate”.
Se i dubbi a riguardo permangono, una cosa è certa: il boom di divorzi che molti si aspettavano finora non c’è stato. Resta da vedere se allora tutto ciò si tramuterà nel boom di nascite in cui il Giappone tanto spera.