Esteri

Mali, il golpe fa tremare il Sahel. Le implicazioni sull'area e sull'Europa

di Luca Sebastiani

L'Africa e il Vecchio Continente osserva con preoccupazione quanto accade a Bamako, in un'area già segnata da una profonda instabilità

Nella mattinata del 18 agosto, in Mali, è cominciata la rivolta nella base militare di Soundiata-Keita a Kati, nella periferia della capitale Bamako. I ribelli hanno quindi circondato la residenza presidenziale e arrestato sia il presidente maliano Ibrahim Boubacar Keita, detto anche IBK, sia il premier Boubou Cissè. Il presidente si è quindi trovato costretto, dopo poche ore, a rassegnare le sue dimissioni e ad annunciare lo scioglimento del governo e dell’intero Parlamento.

Da settimane il paese africano è attraversato da numerose proteste, anche violente, in seguito alla decisione della Corte Costituzionale di assegnare alcuni seggi in più al partito governativo dopo i risultati della tornata elettorale svolta tra marzo e aprile scorso. Le elezioni avevano visto un calo di consenso notevole nei confronti del partito presidenziale RPM (Rassemblement Pour le Mali) che aveva guadagnato 43 deputati. La Corte Costituzionale, dopo alcuni ricorsi, gliene aveva assegnati 8 in più, scatenando le proteste e i disordini nel paese.

L’Imam Mahmoud Dicko, già presidente dell’Alto Consiglio Islamico del Mali (HCIM), insieme ad altri leader dell’opposizione, è stato tra i promotori delle manifestazioni in tutto il paese. Sono state centinaia di migliaia le persone scese nelle strade delle più grandi città maliane per chiedere le dimissioni del presidente, tanto da fondare il Movimento del 5 giugno – Raduno delle forze patriottiche (M5-RFP), una piattaforma popolare organizzatrice delle proteste anti-governative. Il golpe di questi giorni quindi è solo il culmine di una crisi socio-politica in atto da diversi mesi. I militari ribelli, in un comunicato diramato sull’emittente televisiva Ortm, hanno dichiarato di voler avviare una transizione politica civile che porti a nuove elezioni in tempi ragionevoli.

L’instabilità del Sahel

Il Mali, paese tra i più poveri del continente africano, si trova nella regione del Sahel, quella fascia compresa tra il deserto del Sahara e la zona più equatoriale dell’Africa. Una regione con problematiche profonde e sempre più preda di gruppi jihadisti, appartenenti allo Stato Islamico o a vecchie formazioni legate ad Al Qaida e a Boko Haram. Una zona fulcro delle rotte migratorie interne dell’intero continente, in cui i traffici di essere umani si mescolano a situazioni di estrema povertà, crisi idriche e alimentari. Un’area quindi debole e cruciale per la sicurezza dell’Africa ma anche del Mediterraneo.

Le reazioni che si sono levate alla notizia del golpe sono state unanimi, nonostante il portavoce dei ribelli Ismael Wagué (vicecapo di Stato maggiore dell’Aeronautica militare) abbia garantito il rispetto di tutti gli accordi internazionali attualmente in vigore e il supporto alle missioni internazionali nel paese. La Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (Ecowas) ha condannato duramente il colpo di Stato, sospendendo il Mali e chiudendo i confini. L’Unione Europea, tramite Josep Borrell, ha condannato il golpe, così come la Francia con Emmanuel Macron, fortemente preoccupato dalla situazione attuale. Il G5, il forum militare regionale dell’Africa occidentale (composto da Burkina Faso, Mauritania, Mali, Niger e Ciad) ha richiesto la liberazione dei membri di governo arrestati.

L’impegno internazionale e italiano

Il Sahel, come detto in precedenza, è una regione tanto importante quanto instabile. Solamente pochi giorni fa 6 turisti francesi e due guide nigerine sono stati uccisi in Niger da uomini armati a sud della capitale Niamey. Attacchi, attentati o sequestri di persone sono molto frequenti nella zona. Lo scorso marzo era giunta la notizia della liberazione dell’italiano Luca Tacchetto e della sua fidanzata canadese Edith Bias, rapiti mesi prima in Burkina Faso e ritrovati proprio in Mali. Per cercare di normalizzare l’area sono state dislocate nella regione numerose forze di sicurezza locali e internazionali.

La Francia è il paese esterno più impegnato a livello locale sul piano militare, ed è anche quello più coinvolto dal golpe in atto, ma anche l’Italia sta concentrando negli ultimi anni molte attenzioni e risorse nella zona. Roma ha dato recentemente l’ok alla partecipazione alla Task Force Takuba, una forza multinazionale promossa da Parigi, con lo scopo di arginare la diffusione dei gruppi armati jihadisti nella regione. Una missione che si inserisce in una ben più ampia panoramica strategica e operativa chiamata “Coalizione per il Sahel”, composta già dall’Opération Barkhane e la Force conjointe du G5 Sahel. Il contingente italiano di duecento uomini, venti mezzi terrestri e 8 mezzi aerei sarà operativo nella primavera del 2021. Inoltre l’Italia partecipa alla missione bilaterale MISIN nella Repubblica del Niger e alla missione di peacekeeping delle Nazioni Unite proprio in Mali (MINUSMA), senza contare le diverse missioni targate UE. L’apertura, negli ultimi 3 anni, delle ambasciate italiane in Niger, Guinea e Burkina Faso evidenziano gli sforzi nella regione fatti da Roma.

Un forte impegno militare e sociale che, però, sembra non stia bastando per assicurare sicurezza nei diversi paesi, come testimonia il colpo di Stato in Mali.