Esteri

Medio Oriente, Biden copia Trump. L'alleanza Cina-Iran cambia gli equilibri

di Lorenzo Lamperti

Alla fine Joe si rimangia tutto sullo Yemen e torna a includere gli Huthi tra le organizzazioni terroristiche per riavvicinarsi alle monarchie del Golfo

Yemen, gli Usa tornano a inserire gli Huthi nella lista delle organizzazioni terroristiche

Huthi nella lista delle organizzazioni terroristiche. La mossa, inaspettata fino a solo poco tempo fa, la starebbe per compiere Joe Biden, che in tal modo si rimngerebbe la parola e tornerebbe al posizionamento assunto da Donald Trump. Una mossa che significa che gli Stati Uniti escono definitivamente dalla neutralità su un conflitto che si trascina in maniera sanguinosa ormai da diversi anni, anche con il presidente democratico che aveva promesso che avrebbe portato pace e nuovi accordi nella regione, con l'Iran compreso. Pur armando da sempre (insieme a diversi paesi occidentali) le monarchie del Golfo aveva per ora evitato di farsi coinvolgere sulla vicenda yemenita. Anzi, Biden aveva disatteso la decisione di Trump di considerare gli Huthi un'organizzazione terroristica anche nella speranza di riavviare il dialogo con il loro principale sponsor, l'Iran.

Non un caso che quel passo venga fatto ora. E non solo per l'attacco dei giorni scorsi condotto dai gruppi armati sciiti verso Abu Dhabi (ai quali i sauditi hanno risposto con dei raid sulla capitale yemenita Sana'a, in mano ai ribelli), ma anche per un calcolo strategico molto preciso. La conformazione geopolitica del Medio Oriente è in continua ridiscussione e, dopo la ritirata dal vicino Afghanistan, il peso di Washington è in costante diminuzione. Ecco perché schierarsi esplicitamente contro i ribelli Huthi, considerati vicini al grande nemico degli Stati Uniti nell'area: l'Iran. 

Le monarchie del Golfo entusiaste della mossa trumpiana di Biden

Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti hanno fatto sapere con grande entusiasmo di aver apprezzato l'apertura di Biden al reinserimento degli Huthi nella lista delle organizzazioni terroristiche. Poco dopo il suo insediamento, Biden aveva rimosso dall'elenco i ribelli filoiraniani che da sette anni combattono una coalizione lealista guidata da Riad. Nei mesi successivi i miliziani sciiti hanno però risposto intensificando gli attacchi con droni contro infrastrutture civili avversarie saudite ed emiratine, compresi aeroporti e raffinerie. Un po' come con i talebani, la carota di Biden non è servita ad abbassare le tensioni, ma le ha anzi acuite.L'ambasciatore emiratino a Washington, Yousef al Otaiba, ha pubblicamente sostenuto l'inserimento degli Houthi nella lista delle organizzazioni terroristiche. "Porre fine a una guerra necessita la volontà di tutte le parti e gli Huthi non sembrano esserne intenzionati".

Biden si rimangia la parola per arginare la Cina in Medio Oriente

Ma, come detto, dietro ci sono anche dei calcoli precisi. Con la ritirata di Biden dall'area e il tentativo di distensione con l'Iran gli altri paesi dell'area avevano iniziato a guardare altrove. Persino a Israele, che ha avviato una storica normalizzazione dei rapporti con le monarchie del Golfo, a partire dagli Emirati Arabi Uniti. Per passare poi, ovviamente, alla Cina, che ha dimostrato a più riprese di essere in grado di interloquire sia con le monarchie sunnite del Golfo sia con la Repubblica Islamica sciita di Teheran.

Basti restare alla cronaca dei giorni scorsi, quando il ministro degli Esteri cinese Wang Yi ha tenuto una serie di vertici separati con gli omologhi di Iran, Arabia Saudita, Kuwait, Oman e Bahrein e dopo l’incontro con il Segretario generale del Consiglio di Cooperazione del Golfo (Ccg) Nayef bin Falah Al-Hajraf, avvenuto  a Wuxi, nella provincia dello Jiangsu. Con una dichiarazione congiunta dell’incontro, le due parti promuovono l’impegno di concludere quanto prima i negoziati su un accordo di libero scambio Cina-Gcc.

Al centro dei colloqui coi Paesi del Golfo, c’è stato il rincaro degli idrocarburi che preoccupa Pechino, principale importatore di greggio al mondo. Ma è stata anche l'occasione per portare avanti i negoziati su un accordo di libero scambio tra Cina e il Consiglio di Cooperazione del Golfo, che include Arabia Saudita, Bahrein, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Oman e Qatar. 

Pechino dialoga sia con il Golfo sia con l'Iran: accordi finanziari e militari

Ma oltre ai temi commerciali sono arrivate indicazioni precise anche a livello politico. Dopo l'incontro col Bahrain è stata per esempio rilasciata una nota che sostiene che il paese arabo chiede, congiuntamente a Pechino, di non politicizzare il tema dei diritti umani. Musica per le orecchie del Partito comunista cinese, sotto attacco statunitense e occidentale per una serie di questioni che vanno dallo Xinjiang a Hong Kong.

C'è poi l'aspetto militare da non trascurare. Sì, perché sempre nei giorni scorsi Cina e Iran hanno cominciato a implementare i termini del misterioso super-accordo siglato nel marzo 2021. Da una parte starebbe per essere lanciato un nuovo istituto bancario congiunto per aggirare il dollaro statunitense: un'occasione per rilanciare lo yuan cinese sul piano internazionale, dall'altra parte anche un modo per provare a evitare le sanzioni americane. C'è poi anche un aspetto militare, visto che Pechino e Teheran hanno in programma un'esercitazione militare navale trilaterale.

La sfida tra Stati Uniti e Cina rischia così di portare a una nuova polarizzazione in Medio Oriente, con il ritorno ai classici schieramenti. Quantomeno in ottica americana. La mossa sugli Huthi può infatti esacerbare le tensioni con l'Iran, in un dialogo che non è mai veramente decollato. Troppo scetticismo da parte di Teheran dopo l'accordo sul nucleare stracciato da Trump e l'uccisione su suolo iracheno del generale Suleimani. Senza contare la spinta di Israele, col quale anche le monarchie del Golfo sono pronte a collaborare in ottica anti iraniana. La pax americana traballa.

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