Esteri
"Mes? Non basta gentleman agreement. O cambi trattato o le condizioni restano"
Ad Affaritaliani.it la professoressa Paola Bilancia, esperta sull’impatto dell’integrazione europea nei vari livelli di governo, chiarisce la questione Mes
Mes, un accordo senza modificare il trattato potrebbe non bastare nell'evitare la condizionalità
“Quando ho iniziato ad occuparmi di Mes, nel 2012, alcuni colleghi pensavano mi volessi occupare di Diritto europeo”. Così esordisce Paola Bilancia ad Affaritaliani.it, docente di Costituzionalismo multilivello e Diritto Costituzionale all’Università statale di Milano ed esperta dell’impatto dell’integrazione europea nei vari livelli di governo, nonché autrice di una sterminata lista di testi e pubblicazioni fra cui: The Dynamics of the European Integration and the Impact on the National Constitutional Law; Testi e progetti del sistema costituzionale italiano ed europeo; Aspetti e problemi del costituzionalismo multilivello e La nuova governance dell’Eurozona e i “riflessi” sugli ordinamenti nazionali. La professoressa Bilancia ha fatto un po’ di chiarezza sullo strumento Mes (sulla struttura e sulla sua competenza) e sulle sue effettive criticità.
Come giudica l’accordo dell’Eurogruppo del 9 aprile sui 4 pilastri, se così si possono definire, da cui è uscito anche un “nuovo Mes” senza condizioni, per le spese sanitarie?
“Non so esattamente cosa voglia dire ‘nuovo Mes’. Il Mes è un trattato declinato, ha una sua governance con delle caratteristiche peculiari. Come si fa a cambiare? Non la struttura (che certamente rimarrebbe quella) ma che vuol dire ‘nuovo Mes’? Una deroga alle procedure e alle decisioni adottabili secondo il testo del Mes? Oppure vuol dire una modifica del trattato? Una modifica presuppone una procedura che si sviluppa a livello europeo con successiva ratifica a livello nazionale.
Il Mes è stato autorizzato per la ratifica dal Parlamento italiano nel luglio del 2012, sotto il governo Monti, però è stato elaborato nel 2011, approvato dal Consiglio europeo e prima ancora dall’Ecofin (sede di riunione di tutti i ministri delle Finanze dell’Unione europea) quando il nostro Paese era guidato dal governo Berlusconi. I nostri rappresentanti hanno votato per il “si”: il ministro delle Finanze che ha partecipato all’Ecofin (Giulio Tremonti ndr) ha votato il trattato Mes, e nella riunione del Consiglio Ue, il nostro rappresentante (Berlusconi ndr) ha votato a favore. Quindi è stato elaborato in sede europea e poi ratificato dai singoli Stati membri. L’autorizzazione alla ratifica è arrivata in Parlamento nel luglio 2012 quando il Presidente del Consiglio era Monti, mentre la fase europea dell’elaborazione del Mes è avvenuta quando in Italia il governo era guidato da Berlusconi".
Si presume previo accordo nel Consiglio dei ministri?
“Si, si presume".
Giulio Tremonti ha dichiarato che il Mes su cui aveva raggiunto l’accordo era diverso da quello poi firmato dal governo Monti. Monti invece ha detto che si è limitato a far ratificare l’accordo così come l’aveva trovato…
“Certo, non poteva modificarlo".
Quindi una modifica di Monti all’accordo siglato da Berlusconi-Tremonti non era possibile?
“Nel Parlamento italiano è arrivato nel luglio 2012. Bisognerebbe controllare se c’è una discrasia fra il testo del marzo 2011 del Consiglio europeo e quello arrivato nel Parlamento italiano nel luglio del 2012".
Lei le prenderebbe queste risorse dal Mes?
“Per approvare un prestito senza condizioni ed evitare che poi la Troika ci chieda la ristrutturazione del debito fra qualche anno, bisogna cambiare il trattato. Il che è anche pericoloso. Il problema è che non si può ignorare niente. L’Europa deve provvedere in maniera sostanziosa, non basta lo Sure della Commissione. Inoltre, le piccole e medie imprese hanno approfittato per mettere in cassa integrazione tutti i loro dipendenti anche quando potevano lavorare. Una cassa integrazione ‘ecumenica’. Questi sono problemi critici che ci affliggono. Se c’è questo muro contro muro: no eurobond e no Mes, bisogna andare a vedere cosa si intende per accesso al finanziamento Mes senza condizioni. Se si prestano i soldi evitando che la troika condizioni eventualmente i nostri fattori economici e che ci imponga di vendere i cosiddetti ‘gioielli di famiglia’, allora potremmo accettarlo ma bisogna leggere le carte".
Dunque, sono leciti i dubbi di chi sostiene che gli accordi verbali ‘volano’ e poi restano i trattati?
“Si certo, perché c’è una procedura complessa che si attiva nel Mes. Come si fa a bypassare le condizionalità previste nel trattato? Se è un gentleman agreement non basta. Anche questo fondo chiesto da Macron, come verrebbe alimentato? Tramite un’offerta di eurobond la cui emanazione è invisa ai Paesi del Nord Europa? L’Unione non è in condizione di affrontare le emergenze: ne abbiamo visto le conseguenze nella crisi finanziaria-economica-sociale del 2008-2009. L'Unione non ha poi quelle competenze che le consentirebbero di prendere in mano la situazione. Così, del resto, anche l’Unione monetaria che crea strutture quasi societarie con la partecipazione dei Paesi membri pro-quota ma non ha quegli strumenti in grado di affrontare le emergenze. Né finanziarie né tantomeno sanitarie".
Quando si incontreranno i capi di governo nel Consiglio Ue del 23 aprile, secondo lei, si riuscirà ad uscire dall’impasse? Per l’Italia ci sarà qualcosa di vantaggioso? E per l’Ue è un’occasione di rilancio o di affossamento?
“Ad affossarla ci vuole poco in questo momento. La vulgata è tutta contro l’Ue. Noi non siamo ancora sostanzialmente usciti pienamente dalla crisi finanziaria che si è abbattuto questo ciclone sanitario. A fronte di un europeismo marcatosi stanno sviluppando forme di scetticismo nei confronti dell’UE. Ci vorrebbe uno sforzo di tutte le parti in commedia per tornare a essere tutti unionisti".
Secondo lei Conte ha la forza di raggiungere un accordo importante per noi?
“Lo vedo forse più competente di alcuni premier precedenti. Soprattutto ci mette la passione, si impegna moltissimo, però 27 Stati sono tanti e i negoziati sono faticosi".
Ha fatto quadrato con altri 8 Stati fra cui la Francia…
“Sì, ma sono sempre pochi e il voto all’unanimità deve coinvolgere i Paesi del Nord Europa. Il compromesso è un risultato difficile da raggiungere. Ciò non toglie che in caso di insuccesso si possa volgere lo sguardo allo scacchiere internazionale".