Esteri
Giappone in Italia: non solo cartoni, gli anime come ponte culturale
Vicino Oriente: notizie e tendenze dal mondo giapponese. Mostra a Torino sui 25 anni di Sailor Moon. Un'occasione per riscoprire i cartoni animati nipponici
Chi avrebbe mai pensato di vedere Sailor Moon in un museo? Eppure il Mufant, Museo del fantastico e della fantascienza di Torino, ospiterà fino al 10 gennaio 2021 una mostra dedicata alle guerriere Sailor, per i loro 25 anni in Italia. La paladina che veste alla marinara è tra i cartoni animati giapponesi più famosi nel Belpaese, ma non è l’unico. Da Kiss me Licia a Occhi di gatto, da Lamù a È quasi magia Johnny, sono decine gli anime che hanno plasmato l’immaginario dei giovani (e un po’ meno giovani) d’oggi, diventando uno dei tratti distintivi di generazione X e Millenials.
L'arrivo dei cartoni animati giapponesi in Italia
Era il 1959 quando alla Mostra del cinema di Venezia venne proiettato nella sezione ragazzi La leggenda del serpente bianco, il primo cartone animato giapponese a raggiungere l’Occidente. Ma il boom degli anime si ebbe negli anni ’80, e la data da cui tutto ebbe inizio è una: martedì 4 aprile 1978, quando, alle 18.45 su Rete 2, andò in onda la puntata numero 1 di Atlas Ufo Robot, meglio noto come Goldrake. Era la prima serie robotica giapponese a cartoni animati ad apparire sui nostri schermi e, in un mondo di Orso Yogi e Gatto Silvestro, di Warner Brothers, Walt Disney e Hanna-Barbera, la novità di avventure spaziali con disegni futuristici riscosse un immediato e largo successo.
Ma anche le polemiche non tardarono ad arrivare: secondo certi politici e associazioni di genitori, i nuovi cartoni animati erano troppo violenti o presentavano personaggi dai tratti ambigui, che non dimostravano chiaramente la propria appartenenza al genere maschile o femminile. Ecco perché la Rai rinunciò presto a trasmettere gli anime giapponesi, che invece andarono a riempire i palinsesti delle neonate tv private. Tra il 1978 e i primi anni ‘80, si passò da 250 a circa 400 reti indipendenti: aprirle era diventato abbastanza facile, ma poi non si sapeva bene cosa trasmetterci, anche perché i budget erano limitati, e così si acquistavano i programmi più a buon mercato: cartomanti e televendite, telenovelas, cartoni animati giapponesi.
D’altronde il Giappone era desideroso di promuovere la propria cultura in Occidente e vendeva volentieri i propri prodotti a prezzi stracciati pur di diffonderli, ma di tutta Europa è l’Italia ad aver conosciuto il massimo afflusso di anime: quelli trasmessi in chiaro nelle varie tv sono stati almeno 800. Senza contare poi quelli pubblicati solo su vhs o dvd o al cinema.
Gli anime, elemento identitario per Millenials e Generazione X
Dalla mattina presto alla sera dopo cena, da Canale 5 a Telemontecarlo, da Italia 1 a Mtv, i bambini di allora avevano per la prima volta a disposizione programmi dedicati a loro a qualsiasi ora del giorno, da guardare prima di andare a scuola durante la colazione, dopo aver svolto i compiti nel pomeriggio oppure la sera prima di mettersi a tavola.
E, per la prima volta, avevano a disposizione diversi generi tra cui scegliere, in base alle proprie inclinazioni: dalle avventure spaziali di Jeeg Robot, uomo d’acciaio, Il grande Mazinga o Gundam, ai cartoni sportivi come Holly e Benji, Mimì e la nazionale di pallavolo e Mila e Shiro, dalle atmosfere romantiche di Candy Candy ai combattimenti di Ken il guerriero e L’Uomo Tigre.
Ma oltre all’intrattenimento c’era di più: chi, infatti, non ha imparato almeno qualche data e vicenda della Rivoluzione francese guardando Lady Oscar? O chi può negare che cartoni animati come Sampei o Heidi non insegnino qualcosa su valori morali importanti, come la lealtà, l’onestà, l’amicizia?
C’è poi da aggiungere che la televisione era, più di oggi, il mezzo di trasmissione e fruizione di contenuti generalista, interclassista e interculturale per eccellenza: da Nord a Sud, qualsiasi odierno trentenne o quarantenne conosce Dragonball come Lupin, i Pokemon come L’ape Maya, i Cavalieri dello Zodiaco come i Power Rangers, e soprattutto, le sigle che li accompagnavano, cantate per la maggior parte da Cristina d’Avena.
Insomma, no, non sono solo cartoni animati: gli anime giapponesi sono stati per gli italiani, soprattutto i più giovani, un ponte di collegamento col Giappone, un’occasione per conoscerne e apprezzarne cultura, gusti, musiche e dinamiche sociali, e sono parte integrante della cultura italiana, al centro di dinamiche sociali che hanno contribuito a formare l’identità nazionale.