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Esteri
Israele, prove di dittatura: Al Jazeera oscurata per coprire i propri crimini

Israele oscura Al Jazeera 

Ieri sera la Knesset ha approvato la cosiddetta legge “Al Jazeera” che fra le altre cose consente di oscurare la testata qatarina. La legge, approvata con 71 voti a favore e 10 contrari, conferisce al Primo Ministro e al ministro delle Comunicazioni il potere temporaneo di “chiudere le reti di notizie straniere ritenute minacciose per la sicurezza nazionale” per periodi di 45 giorni. Ma qual è la sicurezza nazionale che il parlamento israeliano vuole tutelare? E quali i criteri sulla base dei quali sarà stabilita la pericolosità di una testata? Non è chiaro. Secondo il Time of Israel, le norme consentirebbero ai funzionari di "interrompere le trasmissioni dei media e confiscare le apparecchiature di trasmissione se si ritiene che il risultato di un canale danneggi la sicurezza nazionale, l'ordine pubblico o serva come base per la propaganda nemica".

Quel che è chiaro è che non è mai una bella notizia quando un paese mette il bavaglio alla stampa. Oltre ad essere un segno d’incontrovertibile debolezza, la storia insegna che è l’anticamera della dittatura. E quando questo accade in una nazione che si dichiara democratica, come nel caso di Israele, allora il problema si fa ancora più serio.

Gli Stati Uniti hanno immediatamente espresso preoccupazione, con la portavoce della Casa Bianca Karine Jean-Pierre che ha affermato: “Crediamo nella libertà di stampa. È di fondamentale importanza. Gli Stati Uniti sostengono il lavoro svolto dai giornalisti di tutto il mondo, e questo include coloro che riferiscono sul conflitto a Gaza. Se queste notizie sono vere, ciò ci preoccupa”.

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Non curante delle perplessità statunitensi, al termine delle votazioni Netanyahu ha dichiarato che “agirà immediatamente”, in conformità con la legge, per fermare l’attività di Al Jazeera. Il Ministro delle Comunicazioni Shlomo Karhi, colui che maggiormente si è speso per farla approvare, ha confermato che “il canale di notizie Al Jazeera, finanziato dal Qatar, sarà chiuso nei prossimi giorni”, affermando che “non ci sarà libertà di espressione per i portavoce di Hamas in Israele”. Shlomo Karhi, esponente della frangia più radicale del partito Likud del primo ministro, ha poi chiarito che con questa nuova legge è stato messo a punto “uno strumento efficace e rapido contro coloro che usano la libertà di stampa per danneggiare la sicurezza di Israele e i soldati dell’IDF, e che incitano al terrorismo durante un periodo di guerra”.

In un articolo apparso questa mattina sul Washigton Post, il Committee to Protect Journalists, organizzazione indipendente e senza scopo di lucro che promuove la libertà di stampa in tutto il mondo ha invitato “il governo israeliano ad astenersi dal mettere al bando Al Jazeera” affermando che “una pluralità di voci nei media è essenziale per responsabilizzare il potere, soprattutto in tempo di guerra”.

Da tempo quella che ancora in troppi ci ostinano a chiamare guerra ha assunto le sembianze della più atroce rappresaglia che vede il secondo esercito più potente del mondo dopo quello degli Stati Uniti, scagliarsi come se non ci fosse un domani su due milioni di civili inermi, per lo più donne e bambini, intrappolati senza via di scampo nel più grande campo di concentramento del pianeta. Mettere il bavaglio alla stampa equivale a garantire l’occultamento dei crimini.

Fin dall’attacco di Hamas del 7 ottobre Israele ha vietato alla stampa estera l’ingresso a Gaza, fatta eccezione per qualche giornalista al quale in questi mesi è stato consentito l’accesso sotto stretta sorveglianza dell’esercito, che stabilisce itinerari e luoghi da mostrare.

Secondo la testata francese Reporter sans frontières, all’inizio di marzo risultavano essere 103 i giornalisti uccisi dagli attacchi israeliani “in una delle guerre più sanguinose mai viste per i media”. Una tragedia continua che vede ogni settimana la lista allungarsi. Sempre secondo RSF, sulla base di informazioni finora raccolte, “almeno 22 di questi giornalisti sono stati uccisi nello svolgimento del loro lavoro o a causa del loro lavoro. Molti riferivano sul campo ed erano chiaramente identificabili come giornalisti. Altri sono stati uccisi da attacchi che hanno preso di mira chirurgicamente le loro case”. RSF ha deferito due volte i crimini commessi contro i giornalisti da Israele alla Corte penale internazionale di Giustizia.






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