Esteri
La guerra civile mette ko il Sudan: oltre 150mila vittime e più di 11 milioni di sfollati. "Irrealistico il cessate il fuoco nel 2025"
Inferno in Sudan: dall'aprile del 2023 il gruppo paramilitare Rsf combatte contro l'esercito una sanguinosa guerra civile che, a detta degli operatori, sta causando la più grave crisi di sfollati del mondo
Guerra civile in Sudan, mancanza di cibo e bombardamenti quotidiani: il racconto dell'"inferno"
Genocidio. È questa l’accusa, pesante, lanciata dagli Stati Uniti contro il gruppo paramilitare Rsf (Rapid support forces), che dall’aprile 2023 combatte contro l’esercito una sanguinosa guerra civile in Sudan che, a detta degli operatori, sta causando la più grave crisi di sfollati del mondo.
“L’accusa di genocidio”, ha spiegato il segretario di Stato statunitense Antony Blinken si basa sulle notizie di uccisioni sistematiche e di stupri mirati legati all’origine etnica delle vittime”. Contestualmente, gli Usa hanno adottato delle sanzioni contro il leader delle Rsf Hemedti, al secolo Mohamed Hamdan Dagalo. I suoi beni negli Usa verranno congelati e, così come i suoi parenti più stretti, non potrà mettere piede sul suolo americano. Washington, inoltre, ha adottato sanzioni anche contro tre società con sede negli Emirati Arabi Uniti usate dall’Rsf per l’approvvigionamento finanziario e di armi.
La guerra ha già causato secondo gli Usa oltre 150mila vittime e più di 11 milioni di sfollati e il Sudan “è attualmente l’unico luogo al mondo in cui è stata confermata la carestia”, ha detto il 7 gennaio Edem Wosornu, direttore dell’Ufficio Onu per gli affari umanitari, al Consiglio di sicurezza. “È una realtà estremamente cruda e viva, con un impatto molto pesante sui civili e i loro bisogni medici e umanitari”, dice ad Affaritaliani Francesca Vezzini, epidemiologa di Medici senza frontiere appena rientrata dopo quattro mesi in Sudan. Il conflitto ha un’intensità diversa a seconda delle zone: “Nella città di El Geneina, la capitale del Darfur, oggi la situazione è relativamente stabile”, spiega ancora. “Nel resto del Darfur, invece, la situazione è davvero tragica. Ci sono bombardamenti quotidiani in zone altamente popolate, rendendo il territorio estremamente insicuro e instabile”. A Khartoum, la capitale nazionale, “il conflitto è molto intenso e senza segnali di tregua”.
La situazione è critica sotto ogni punto di vista. “Manca tutto. I bisogni più acuti sono sicuramente legati a ciò che è essenziale: manca acqua, manca cibo, manca la casa e mancano le cure”, continua Vezzini. Il sistema sanitario, invece, “è pressoché inesistente” e il pericolo di nuove epidemie è all’ordine del giorno. Finora ce ne sono già state tre: colera, morbillo ed epatite, cui vanno aggiunti importanti focolai di malaria e dengue. “La mancanza di cibo e la malnutrizione aumentano la possibilità che le persone si ammalino e che le loro condizioni diventino gravi. Il sistema sanitario è così fragile e frammentato che non può né prevenire, né intervenire e curare, e l’apporto delle organizzazioni internazionali è estremamente limitato rispetto ai bisogni e ai rischi presenti”.
A fronteggiarsi non sono solo le Rsf e Forze Armate Sudanesi (Sudanese Armed Forces, Saf) guidate dal generale Omar al Burhan. Come spiega ad Affaritaliani Lucia Ragazzi, analista di Ispi esperta di Africa, “si sono riattivati anche altri gruppi armati, come ad esempio milizie su base etnica o di autodifesa, complicando ulteriormente il quadro”. In tutto questo, la comunità internazionale sembra stare a guardare, tanto che l’azione degli Usa appare isolata. “Le varie iniziative di negoziato compiute dall'inizio della guerra non sono state in grado di raggiungere un cessate il fuoco, ma solo commitment di natura umanitaria, che sono stati comunque violati dalle parti”, continua Ragazzi.
“Vi è poi il problema della scarsa volontà dimostrata dai belligeranti a sedersi al tavolo dei negoziati, ricercando piuttosto la soluzione militare, anche con il supporto da parte di partner esterni”. L’ultimo tentativo di mediazione è stato fatto dalla Turchia, che ha proposto un accordo tra le Saf e gli Emirati, vicino alla Rsf, ma il rischio che il negoziato finisca in stallo ancora una volta è molto alto. “Quindi per quanto un cessate il fuoco nel 2025 sia assolutamente auspicabile, in questo momento questo sembra ancora irrealistico”.