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Esteri
Taiwan, Joseph Wu: "Mai così vicini agli Usa. Indipendenza? No, status quo"
Fonte Wikiquote

"Siamo aperti al dialogo con Pechino, ma deve essere un dialogo senza pre condizioni. E allo stesso tempo saremo fermi nel difendere il nostro sistema democratico". E' questo il fulcro della posizione sulla Cina espressa da Joseph Wu, ministro degli Esteri di Taiwan, durante il suo incontro con la stampa internazionale andato in scena a meno di 48 ore dalle elezioni presidenziali e legislative di sabato 11 gennaio. Una posizione che lo stesso Wu aveva già espresso in una intervista ad Affaritaliani.it qualche giorno fa. 

Una conferenza nella quale Wu ha celebrato con enfasi il sistema democratico di Taiwan: "Si tratta della settima elezione presidenziale diretta della nostra giovane democrazia, nella quale abbiamo già avuto tre pacifici passaggi di potere politico. Ogni volta che andiamo a votare, il nostro sistema democratico si rafforza". Allo stesso tempo Wu ha riconosciuto le numerose sfide che attendono il nuovo governo che entrerà ufficialmente in carica dal prossimo maggio: "Dobbiamo lavorare sulle riforme strutturali economiche in modo da poter continuare a crescere in modo sostenibile. Negli ultimi quattro anni abbiamo spostato l'economia verso l'innovazione. Abbiamo anche avviato la trasformazione verso le energie rinnovabili, che ha attratto ingenti investimenti esteri, in particolare dall'Europa. Dobbiamo anche investire di più nella nostra difesa per far fronte alla crescente sfida della sicurezza dalla parte opposta dello Stretto di Taiwan".

Come prevedibile, Wu ha parlato molto dei rapporti con la Repubblica Popolare Cinese, che considera Taiwan (o Repubblica di Cina) una provincia ribelle che fa parte del suo territorio. "Dobbiamo espandere la nostra rete di amicizia internazionale per impedire a Pechino di emarginare ulteriormente il ruolo di Taiwan negli affari internazionali", ha dichiarato Wu. Uno sforzo che però negli scorsi anni non ha impedito la riduzione degli alleati diplomatici ufficiali di Taipei, ora ridotti a 15 dopo che negli scorsi mesi anche Isole Salomone e Kiribati hanno deciso di stabilire relazioni diplomatiche ufficiali con Pechino.

E c'è la possibilità che anche la Santa Sede possa presto compiere questo passo, considerato il desiderio di visitare Pechino espresso da Papa Francesco. "La nostra relazione con il Vaticano è sempre molto buona", dice Wu. "Continuiamo ad avere rapporti e il Vaticano ci informa delle loro discussioni con Pechino che sono di carattere religioso e non di carattere politico o diplomatico. Non abbiamo preoccupazioni immediate sul fatto che la Santa Sede possa stabilire relazioni diplomatiche con Pechino e continuiamo ad aiutarla sull'assistenza nel Mediterraneo e dedicando molta attenzione alla persecuzione religiosa in Cina e nella regione. Siamo sicuri che il Vaticano ci veda come una forza in grado di proteggere i cristiani nell'area", sostiene Wu.

Wu non esclude la possibilità di un dialogo con Pechino, "a patto che sia senza pre condizioni", sottolineando comunque che "Taiwan non accetterà il modello di Hong Kong", e non si esprime sulle chance di un eventuale incontro tra Tsai e Xi Jinping oppure tra Tsai e Donald Trump in caso di rielezione, sottolineando però come i rapporti con gli Stati Uniti "non siano mai stati così positivi come in questo momento. Abbiamo discussioni regolari con l'amministrazione Trump e con la Difesa. Cercheremo ogni opportunità per approfondire questi legami". E ricorda che negli ultimi anni l'amministrazione Tsai ha offerto sostegno a Washington sulle sanzioni alla Corea del Nord e sul Venezuela.

E' un fatto però che le relazioni economiche tra Taipei e Pechino siano troppo importanti per l'economia taiwanese per alzare la tensione sullo Stretto. "Ma noi non abbiamo mai provocato il governo cinese", sostiene Wu, che aggiunge: "Pechino legge sempre troppe cose sulle nostre elezioni. Non è che se vince uno l'altro la Cina vince o perde". E ancora: "Spesso il DPP viene descritto come partito pro indipendenza ma lasciatemi spiegare la realtà delle cose. Fin da prima di essere eletta, Tsai ha sempre detto che il suo obiettivo era quello di mantenere lo status quo, che è la situazione migliore per tutte le parti in causa e che ha garantito il mantenimento della pace per decenni". A Pechino vorrebbero però vedere riconosciuto, come fatto in precedenza da Ma Ying-jeou, il consenso del 1992 che riconosceva il principio dell'"unica Cina". La sensazione è che la discussione andrà avanti ancora (molto) a lungo.

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