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Tajani in Cina per lanciare il commercio. Ma c'è l'ombra della Via della Seta

di Redazione Esteri

La complicata missione del ministro degli Esteri: negoziare l'addio al progetto di Xi senza compromettere i rapporti bilaterali. E anzi rilanciarli

Come potrebbe reagire la Cina di fronte all'addio alla Via della Seta

Da Pechino si sottolinea però che l'interscambio è aumentato del 42% nel giro di 5 anni. E soprattutto viene chiesto tempo per esprimere il pieno potenziale dell'accordo, fin qui condizionato da eventi esterni come la pandemia di Covid-19 e dalla guerra in Ucraina. Ma anche politici, come la retromarcia sui rapporti bilaterali ingranata dal Conte bis prima e dal governo Draghi poi.

Per Xi Jinping era stata importante l'adesione di un paese G7, il malcontento per l'uscita sarebbe senz'altro espresso e messo sulla bilancia. Anche se Pechino ha apprezzato che Meloni ha preso tempo durante G7 e visita alla Casa Bianca. Annunci prematuri sarebbero stati vissuti come un affronto. Oggi persino il tabloid nazionalista Global Times sostiene che l'addio alla via della seta non deve essere per forza una battuta d'arresto fondamentale ai rapporti bilaterali. Il grado della risposta cinese dipende dunque dalle garanzie che il governo Meloni saprà dare sull'intenzione di proseguire il rapporto e anzi incrementare la cooperazione commerciale.

A inizio agosto era già stata a Pechino una delegazione tecnica della Farnesina in una missione tenuta sottotraccia e utilie per iniziare a negoziare i termini dei rapporti futuri. Proprio le future visite di Meloni, prima di Natale, e quella di Sergio Mattarella a gennaio per commemorare i 700 anni dalla morte di Marco Polo, sarebbero la maggiore garanzia del fatto che i rapporti tra Roma e Pechino potranno sì subire un parziale scossone, ma senza in realtà dover portare a una rottura o a turbolenze troppo dannose per le aziende italiane.