Esteri
Uk, l'errore strategico di Sunak. Così i Labour con solo il 33% ora comandano
Il sistema elettorale è molto particolare, la proporzionalità tra voti ottenuti e seggi assegnati non è osservata. Le similitudini col Premierato italiano
Uk, la particolare legge elettorale che ha portato al potere i laburisti. L'importanza dei collegi uninominali
Le recenti elezioni in Gran Bretagna (tenutesi il 4 Luglio) e gli eventi che le hanno precedute e seguite hanno permesso di dare uno sguardo ravvicinato a come funziona il loro sistema elettorale e costituzionale. Comprenderne alcune caratteristiche può servire anche a noi italiani. Come è noto Rishi Sunak, il Primo Ministro conservatore, ricorrendo a un potere che la Costituzione attribuisce a lui e non più al Re, ha deciso di convocare le elezioni prima della scadenza naturale della legislatura (5 anni.) Pensava di prendere in contro-piede i partiti rivali e forse anche gli elettori. Gli è andata male, come illustrato dalla seguente tabella che è una mia elaborazione dei dati alquanto frammentari riportati dai vari giornali, compresi quelli inglesi.
Elezioni Regno Unito
Questi dati lasciamo sbalorditi e forse addirittura increduli. Il Partito Laburista potrà contare su una comoda maggioranza in Parlamento (circa il 60%) avendo riportato solo il 33,7% dei voti. Non solo. I Conservatori hanno ottenuto voti per quasi il 70% dei Laburisti, ma seggi pari a circa il 29% di quelli assegnati ai Laburisti. In termini di seggi, i liberal-democratici sono il terzo partito, godendo di 71 seggi, 14 volte più del nuovo partito di Nigel Farage (“Per la riforma del Regno”: Farage fu il grande propagandista della Brexit) che ha avuto mezzo milione di voti, ossia il 14% dei voti in più dei Liberal-democratici. E i Verdi, che hanno meno della metà dei voti di “Per la riforma…”, hanno solo un seggio in meno. Si potrebbe dire che ai Liberal-democratici le cose non siano andate male. Ma naturalmente anch’essi possono lamentare che con più di un terzo dei voti dei Laburisti, hanno avuto circa un sesto dei seggi.
Insomma la proporzionalità tra voti ottenuti e seggi assegnati non è osservata. Eppure queste sorprendenti anomalie si possono spiegare (se non giustificare) con alcuni dati di fatto e un altro po’ di aritmetica. Ciascuna delle 650 circoscrizioni in cui è ripartito il Regno Unito elegge un solo deputato, con il criterio della maggioranza relativa. Che questo non garantisca un minimo di proporzionalità tra voti espressi e delegati eletti, e quindi, non soddisfi il criterio della rappresentatività, è ben noto. Vediamo un esempio. Supponiamo che vi siano 3 collegi elettorali, ciascuno con 100 votanti, e i primi due partiti ricevano (20, 18) voti nel primo,(20, 18) nel secondo e (20, 40) nel terzo. Allora in base al criterio della maggioranza relativa il primo partito manderà in Parlamento 2 deputati, il secondo 1. Tuttavia il primo partito ha ricevuto 20+20+20 = 60 voti, il secondo 18+18+40 = 76.
Vi è però un aspetto, del tutto indipendente dalla mancanza di proporzionalità, per il quale il sistema inglese è pregevole: i collegi sono uninominali. Questo favorisce la conoscenza reciproca e la formazione di legami di fiducia e stima tra elettori ed eletti, al di là dell’appartenenza partitica. Un esempio che si può trarre dalle elezioni britanniche del 4 Luglio è la rielezione di Jeremy Corbyn, ex leader del Partito Laburista espulso dal partito per una serie di accuse di dubbio fondamento di anti-semitismo. Ebbene Jeremy si è ripresentato come indipendente nel suo Collegio di Islington North, che rappresentava dal 1983, ed è (sono lieto di annunciare) stato rieletto. Non necessariamente il criterio della maggioranza relativa garantisce la formazione di robuste maggioranze come quelle che si realizzano di solito nel Regno Unito. Occorrono alcune altre circostanze concorrenti, quali ad esempio la presenza di due partiti principali. Invece che distorcere la proporzionalità tra voti espressi e numero dei candidati eletti, si può intervenire più platealmente in Parlamento con i “premi di maggioranza”, per creare delle maggioranze (assolute) anche dove non ve ne siano.
Questo espediente è parte del progetto del “Premierato” che il nostro governo vorrebbe attuare. Alcuni osservatori hanno notato che l’indifferenza per il principio di rappresentatività e il potere di minacciare le Camere di dissoluzione attribuito al Primo Ministro sono due caratteristiche del sistema inglese che noi non dovremmo vergognarci di adottare. Non è la Gran Bretagna la madre della democrazia? E tuttavia vi è un punto un po’ sfuggente che dovrebbe farci riflettere. Il Primo Ministro si chiama anche “premier”, non c’è anche in Gran Bretagna il premierato? Occorre qui fare attenzione a come si stanno svolgendo le cose a Westminster. Ha vinto le elezioni il partito che ha conseguito la maggioranza dei collegi elettorali, dunque dei seggi in Parlamento. E farà il Primo Ministro il capo del partito vincitore. Keir Starmer diventerà (o è appena diventato) Primo Ministro perché è il leader del partito vincente. E anche perché è stato rieletto nel suo collegio di Holborn e St. Pancras, in questo del tutto uguale ai suoi 649 colleghi deputati. L’idea che la carica di Primo Ministro sia essa stessa elettiva è del tutto estranea alla mentalità politica britannica. La vita democratica non ha bisogno di plebisciti. In questa tendenza centripeta al Parlamento le costituzioni britannica e italiana si assomigliano.