Esteri
Venezuela, il crepuscolo del chavismo. Caracas sempre più isolata
Nonostante la propaganda bolivariana con cui Maduro ha approcciato le elezioni lo scorso 6 dicembre - con forti richiami alla continuità con Chavez -, il suo partito è uscito dalle urne sconfitto. A vincere è stata l'opposizione riunita nella Mesa de Unidad Democrática (MUD). Può essere questa la svolta che segna la fine dell'era Chavez? Con il supporto dei gruppi popolari, il 64% dei voti ottenuti dalla MUD parla chiaro: oltre i due terzi dei seggi e prospettive di riforme strutturali, inclusa la Costituzione. La situazione socio-economica del Venezuela infatti richiede risposte immediate e un netto cambio di rotta che non ci si può più aspettare da Maduro, uscito sì sconfitto, ma soprattutto in una posizione sempre più isolata, tanto in Venezuela quanto nella regione.
Il governo non aveva badato a spese. L’investimento di capitale simbolico era stato perfino maggiore di quello economico. La propaganda aveva inondato i cittadini con le immagini del Comandante Hugo Chávez. Il suo sguardo deciso – immortalato in migliaia di foto distribuite in modo capillare – aveva finito per incombere su ogni isolato. Per il voto, inoltre, era stata scelta una data emblematica: il 6 dicembre. Lo stesso giorno, 17 anni prima, l’elezione alla presidenza di Chávez aveva segnato l’avvio della Revolución Bolivariana. La consultazione politica di domenica avrebbe dovuto rappresentare un nuovo inizio. Il risultato è stato raggiunto. In modo, però, opposto rispetto alle attese del presidente Nicolás Maduro. Il “suo” Partido socialista unido de Venezuela (Psuv) è stato battuto. A vincere e a conquistare la maggioranza qualificata in Parlamento è stata l’opposizione, riunita nella Mesa de Unidad Democrática (Mud), guidata da Henrique Capriles e dal segretario Jesús "Chúo" Torrealba.
Uno scenario inedito per il Venezuela chavista: dal 1998, il Psuv ha trionfato in 18 comizi su 19. L’unica sconfitta – per un soffio – risale al 2007, quando il paese rifiutò il progetto di riforma costituzionale proposto dall’allora capo di Stato, Chávez. In tale occasione, però, a bocciare la proposta erano state le classi medie e alte, da sempre ostili al governo. Stavolta, a voltargli le spalle sono stati i gruppi popolari: senza il sostegno di questi ultimi, la Mud non avrebbe potuto ottenere il 64% contro un risicato 33 dello schieramento governativo. Come si è giunti a questo cambiamento? Di certo, la crisi economica è stata un fattore determinante. Finita l’età dell’oro (nero) – il prezzo del petrolio, principale risorsa di Caracas, è ormai crollato - Maduro è stato costretto a centellinare i sussidi. Tranne nelle ultime settimane di campagna. La distribuzione di aiuti a pioggia si è trasformato, però, in un boomerang.
La gente più povera, prostrata da un’inflazione al 200% che divora i salari, si è sentita raggirata. Dov’era Maduro e i pasti gratis, nei mesi scorsi, quando tanti soffrivano la fame? L’ondata di indignazione ha spinto in massa i vecchi simpatizzanti del chavismo alla svolta. Di che entità sarà quest’ultima? L’era Chávez è davvero al capolinea? Più che un capovolgimento delle forze in campo, il trionfo della Mud apre una delicata fase di coabitazione, in cui l’opposizione ha, per la prima volta in 17 anni, l’opportunità di “correggere la rotta” intrapresa dal governo attraverso il Parlamento. I risultati definitivi danno a quest'ultima un record 112 seggi su 167. La Mud ha, dunque, "sfondato" la soglia dei due terzi. Con tale maggioranza è possibile rimuovere gli esponenti dell'ultra-chavista Corte suprema di giustizia, promuovere referendum, modificare la Costituzione o, perfino, farla riscrivere da una nuova Costituente. Almeno questi sono le prerogative sulla Carta. Resta da vedere come si evolverà la relazione, difficile, con l'esecutivo. Il trionfo dell'opposizione ha, in ogni caso, un carattere storico. Per varie ragioni.
In primo luogo, un Parlamento anti-chavista può rappresentare un contrappeso reale al potere presidenziale. Non solo. La Mud ha infranto il tabù dell’imbattibilità alle urne del bolivarismo. Un mito che ha a lungo imprigionato in una strategia fallimentare la stessa opposizione. O meglio la sua ala più estremista. Convinta di non avere chanches elettorali questa ha, all’inizio dell’era bolivariana, promosso il boicottaggio del voto. Poi, in tempi più recenti, ha sostenuto la necessità di far dimettere Maduro con le proteste di piazza del febbraio 2014. La “rivolta”, però, si è risolta in un nulla di fatto e ha, anzi, contribuito a un’ulteriore giro di vite dell’esecutivo. Il successo del 6 dicembre conferma, invece, la validità della linea Capriles-Torrealba. Il leader oppositore ha sostenuto, fin dalla sua investitura, nel 2012, la via delle urne per raggiungere il potere.
Al contempo, ha promosso un atteggiamento moderato e favorevole al dialogo con i chavisti. Il che gli ha prodotto forti critiche da parte dei gruppi radicali della stessa Mud soprattutto quando, dopo la seconda sconfitta consecutiva alle presidenziali, nel 2013, Capriles ha rigettato la denuncia di brogli e esortato i propri sostenitori a mantenere la calma. Ora, la “strategia della pazienza” ha prodotto i suoi frutti. Resta da vedere se avrà la forza per tenere a bada l’ala dura, rappresentata da Corina Machado e Lilían Tintori, moglie e portavoce del “detenuto politico” Leopoldo López. Di certo è quanto si aspettano i venezuelani. Soprattutto quei gruppi sociali meno abbienti che in passato hanno votato il chavismo e, ora, ne hanno preso le distanze proprio perché esasperati dalla politicizzazione estrema e da un’ideologizzazione della realtà sempre più slegata da quest’ultima. I cittadini chiedono, anzi esigono, un’agenda fatta di misure concrete per frenare la crisi in atto e ridurre la violenza dilagante. Il che è possibile solo con un dialogo Assemblea e governo. Quest’ultimo finora si è mostrato poco propenso a qualunque mediazione. La pesante sconfitta potrebbe costringerlo a cambiare. Per Maduro il colpo è stato oltremodo duro. Privo del carisma del predecessore, il presidente ha eroso in due anni il capitale di legittimità ereditato dal comandante di Barinas.
In caduta libera nelle rilevazioni, ha un gradimento minimo, appena il 29%. La sua leadership è ormai profondamente indebolita. E ciò acuisce le tensioni all’interno della stessa compagine chavista, nonostante i principali esponenti si siano presentati insieme la notte della sconfitta. Poche ore prima, mentre l’attesa dei risultati si prolungava a dismisura, il ministro della Difesa, Vladimir Padrino López si è presentato insolitamente in televisione per invitare alla calma e al rispetto del verdetto. Un chiaro segno di “indisponibilità” a “ritoccare” gli esiti. Strada quest’ultima poco praticabile dato il mutato scenario geopolitico regionale.
Con il prezzo del petrolio, è declinato anche il potere di seduzione internazionale di Caracas. Raúl Castro ha inviato una lettera di solidarietà a Maduro, secondo quanto riportavano i media ufficiali. Il disgelo con gli Usa, però, ha coinciso con un progressivo distanziamento di Cuba dal Venezuela. Un percorso già in parte compiuto da Bolivia e Ecuador, al di là della retorica ufficiale. L’elezione di Mauricio Macri in Argentina non fa che acuire un isolamento sempre più evidente. Pur con le armi spuntate, il Brasile sembra aver vinto la partita iniziata nel 2000 da Lula per la leadership della sinistra latina. L’ascesa di Capriles – di orientamento progressista moderato – potrebbe ora contribuire a rilanciare il paese sulla scena regionale. Sempre che Maduro lo consenta.
da ispionline.it