Esteri
Crescita e politica estera decisa: Vietnam sempre più leader a Sud-est
Hanoi sfrutta l'anno di presidenza dell'Asean e un'ottima gestione Covid per aumentare il suo peso diplomatico. Approccio assertivo ma responsabile con Pechino
C'era una volta un'Asia che si univa per fronteggiare (anche) il Vietnam. Oggi c'è un Vietnam che si propone come guida economica e diplomatica per un pezzo di Asia. Un pezzo cruciale. Il 2020 non è stato (e non sarà fino alla fine) un anno come gli altri. La pandemia da Covid-19 e il riacutizzarsi dello scontro diplomatico sul Mar Cinese Meridionale, in particolare con l'ingresso (mai così esplicito) degli Stati Uniti nella contesa (ne abbiamo scritto qui), hanno rappresentato e rappresentano due sfide complicate e decisive per il futuro della regione.
Sfide che il Vietnam si è trovato ad affrontare alla guida del Sud-est asiatico, vista la presidenza di turno dell'Asean. Presidenza che, sottolinea Valerio Bordonaro (direttore dell'Associazione Italia-Asean) ad Affaritaliani.it, "coincide con il venticinquesimo anniversario dell’ingresso di Hanoi nell’organizzazione. Un percorso impensabile visto che i fondatori, nel 1967, si erano ritrovati proprio per fronteggiare l’espansione del comunismo nella penisola Indocinese. Dal 1995 ad oggi il Vietnam, ma anche l'Asean, ha beneficiato di questo accesso".
"I numeri sono incontestabili", spiega Bordonaro. "75 milioni di abitanti e 20 miliardi di dollari di pil nel ’95, quasi 100 milioni e più di 250 miliardi di dollari nel 2019". Cifre importanti che dovrebbero reggere anche alla prova del coronavirus. Secondo le ultime stime della Banca Mondiale, infatti, il Vietnam dovrebbe crescere del 2,8 per cento nel 2020, nonostante la pandemia. Meglio di chiunque altro in tutta l'Asia Pacifico, con Cina (+2 per cento) e Myanmar (+0,5 per cento) unici altri due paesi che dovrebbero avere il segno più a fine anno.
"Ma il valore aggiunto per l'Asean è stato il portare al suo interno un’altra delle posizioni 'anti-cinesi' sulla questione Mar Cinese Meridionale", prosegue Bordonaro. Non è certo un mistero, infatti, che Hanoi sia la capitale più assertiva nelle dispute marittime con Pechino. Rinfrancato da una gestione pandemica ottimale (ne abbiamo parlato qui), il Vietnam ha assunto una proiezione ancora più decisa all'interno dell'Asean, (dove non tutti, Indonesia e Filippine in primis, hanno avuto lo stesso successo) riuscendo a far firmare una dichiarazione congiunta al summit degli scorsi mesi in cui si fa riferimento alla convenzione Onu del 1982.
Risultato non scontato, in una galassia di paesi che sul tema resta frammentato anche per non pregiudicare i fondamentali rapporti commerciali con Pechino. In precedenza, aveva invitato le sue imbarcazioni a non rispettare il divieto di pesca imposto dalla Cina nell'area delle isole Paracelso.
"Subito prima dell’inizio della presidenza di turno, il motto Cohesive e Responsive sembrava perfettamente calzante per le tensioni commerciali Usa-Cina e le rivendicazioni territoriali cinesi. E oggi mantiene un aplomb impeccabile anche per l’emergenza Covid-19, così come la presidenza vietnamita", dice Bordonaro.
Hanoi sta, infatti, dimostrando di sapersi muovere in una situazione geopoliticamente complessa, tra l'assertività cinese e i tentativi di arruolamento americani. L'ingresso sempre più evidente dei due vicini indocinesi, Cambogia e Laos, nella galassia del Dragone non hanno influito sulla proiezione regionale di Hanoi, che dal canto suo ha approfondito i rapporti con le potenze medie dell'Indo Pacifico, in primis il Giappone. La cooperazione con Tokyo è forte in materia commerciale ma anche difensiva, come dimostrano i 348 milioni di dollari di prestito ricevuti per la costruzione di unità navali.
Non solo. L'accordo di libero scambio sottoscritto con l'Unione europea ha dimostrato che il Vietnam è stato individuato dall'occidente come nuovo hub industriale dell'Asia orientale. Non a caso, negli ultimi anni, gli effetti della guerra commerciale e soprattutto l'innalzamento del costo del lavoro in Cina hanno portato molte aziende a ricollocarsi proprio in Vietnam.
Allo stesso tempo, Hanoi rifugge l'allineamento geopolitico con Washington. Certo, l'ombrello difensivo americano può far comodo ma il Vietnam, così come gli altri paesi dell'area compreso il Giappone, vogliono il confronto, e non lo scontro, con la Cina (del tema ne abbiamo scritto settimana scorsa). Il canale diplomatico con Pechino rimane sempre aperto, come dimostra la recente telefonata tra Xi Jinping e il presidente vietnamita Nguyen Phu Trong.
La resistenza a farsi "arruolare" sta forse causando qualche insoddisfazione a Washington, che ha tra l'altro appena avviato un'indagine per possibile manipolazione valutaria da parte di Hanoi. Indagine che potrebbe finire nell'imposizione di tariffe sui prodotti importati dal Vietnam, che guarda caso ad agosto ha appena fatto segnare un surplus commerciale da record nei confronti degli Stati Uniti: 7,9 miliardi di dollari, +38,9 per cento rispetto all'agosto del 2019.
In questo contesto, il Vietnam si prepara anche a pianificare il prossimo decennio. Il Partito Comunista terrà il proprio 13esimo congresso nazionale nel gennaio 2021, quando sceglierà il suo nuovo leader. A lui (o lei, visto che tra i papabili ci sarebbe anche Nguyễn Thị Kim Ngân) spetterà il compito di condurre il paese verso il pieno sviluppo industriale e alla conversione verso le energie rinnovabili, priorità individuate dall'ultima seduta del Comitato centrale del partito.