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Circular Economy, allarme regressione. Ma l’Italia guida l’Ue nel fashion

Un processo che nonostante gli annunci e i programmi fatti a livello governativo, ha visto anche l’Italia regredire: dal 20,6% dell’anomalo 2020 al 18,4% del 2021, superando anche l’argine del 2019 (19,5%). Eppure le premesse culturali per una transizione sembrano esserci guardando i risultati dell’indagine presentata da Legacoop e Ipsos, per cui negli ultimi tre anni quasi un italiano su due (il 45% degli intervistati) ha acquistato almeno un prodotto usato, mentre il 36% sceglie un prodotto ricondizionato o rigenerato. Nelle decisioni di acquisto, gli italiani sono attenti alla longevità del prodotto (87%), al fatto che sia riparabile (83%), riciclabile (81%) e sono influenzati dalle recensioni (il 79%). 

Quanto sopra vale anche, e soprattutto, per il settore fashion, che non brilla per la sostenibilità: il Circular Fashion Index 2023 di Kearney assegna una media globale di tre punti su dieci agli operatori della moda, definita “ampiamente insufficiente”. Se l’Italia non si discosta da questa media nel complesso (2,92%), lo fa invece con le sue eccellenze: OVS e Gucci si posizionano quarta e quinta nella classifica globale della circolarità fashion. Dario Minutella, principal di Kearney, sottolinea che i brand italiani hanno un punto di forza: impegnarsi nell’uso di tessuti riciclati, "probabilmente un tema culturale, legato all’interesse dei consumatori italiani verso il made in Italy, fatto anche di tessuti organici e riciclati".

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