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Coronavirus, altro che aiuto all'ambiente: mondo già più inquinato di prima

di Sara Perinetto

A inizio quarantena sembrava che gli “effetti del Covid-19 sull’inquinamento” fossero positivi, ma ora ci ritroviamo a fare i conti con le nostre responsabilità

Coronavirus, lockdown e inquinamento

La riduzione dell’inquinamento dovuta al lockdown, cioè alla cessazione o diminuzione di gran parte delle attività produttive umane, era stata da più parti acclamata come un “effetto positivo del coronavirus” all’inizio della quarantena. A tre mesi di distanza, i risultati non sembrano incoraggianti né, tantomeno, destinati a durare.

La prima a fermarsi era stata la Cina, tra i paesi più inquinanti al mondo, che aveva registrato un calo delle concentrazioni di particolato atmosferico (Pm2.5) e biossido di azoto (NO2) rispettivamente del 38% e del 34% in confronto allo stesso periodo del 2019. Con la ripartenza delle attività, a maggio, non solo quei numeri sono stati recuperati, ma a volte sono stati addirittura superati, secondo gli esperti, per l'incremento delle attività nel tentativo di far fronte alle perdite economiche subite.

Lo stesso potrebbe succedere, stando alle previsioni degli studiosi, anche in Europa, che per altro ha adottato misure molto differenti da paese a paese. Nella Pianura Padana, la regione con l’aria più inquinata del Vecchio Continente, durante i mesi di quarantena il biossido di azoto, gas generato dalle combustioni altamente tossico e inquinante, ha registrato un calo tra il 40 e il 50%. Secondo i dati forniti dai ricercatori del centro aerospaziale tedesco (DLR) questa riduzione è legata soprattutto al crollo del traffico. Ma nelle ultime settimane, da quando cioè sono ripresi gli spostamenti intraregionali e molte attività industriali e commerciali, i valori sono di nuovo in aumento.

Per quanto riguarda invece l’anidride carbonica (CO2), il gas responsabile dell’effetto serra, cioè del surriscaldamento globale, stando a uno studio pubblicato sulla rivista scientifica Nature Climate Change, nel 2020 sarebbe diminuita, dall’inizio dell’anno alla fine di aprile, di più di un miliardo di tonnellate rispetto allo stesso periodo del 2019.

Anidride carbonica ed effetto serra

Ma i problemi sono due. Il primo è il fatto, ipotizzato dagli esperti ma evidente a tutti, che questa riduzione non è destinata a durare, visto che già in molti paesi le attività umane sono ricominciate quasi a pieno regime. La seconda è che il principale parametro da considerare quando si parla di emissioni di CO2 è la sua concentrazione nell’atmosfera. È dall’inizio della Rivoluzione industriale, cioè nel Settecento, che le attività umane causano un aumento di anidride carbonica nell’atmosfera, in aggiunta a quella dovuta ai processi naturali: qualche mese senza automobili, aerei e centrali elettriche alimentate a carbone non può certo stravolgere quanto fatto in più di due secoli.

Non a caso, sebbene una riduzione di oltre un miliardo di tonnellate sembri una quantità enorme, l’Osservatorio meteorologico del vulcano Mauna Loa, alle Hawaii, ha dichiarato che ad aprile 2020 la concentrazione media di anidride carbonica nell’atmosfera terrestre è stata di 416,21 parti per milione, la più alta mai registrata dal 1958.

Un rapporto delle Nazioni Unite pubblicato a novembre 2019, ha lanciato un monito severo: per evitare i peggiori effetti del cambiamento climatico, le emissioni di anidride carbonica dovrebbero diminuire di almeno il 7,6% ogni anno per decenni. Insomma, due o tre mesi di lockdown non avranno nessun effetto a lungo termine, se non accompagnati da un’azione globale duratura e più incisiva.

Il fatto che, nonostante la drastica riduzione degli spostamenti privati in automobile e dei voli aerei, anche nel momento di massime restrizioni globali, cioè all’inizio di aprile, il mondo abbia continuato a produrre più dell’80% delle sue solite emissioni di anidride carbonica, dimostra che gli sforzi individuali per ridurre l’impatto delle attività umane sull’atmosfera, per quanto lodevoli, servono a poco.

Più che chiedere ai singoli cittadini di cambiare le proprie abitudini, richiesta comunque legittima e da perseguire, bisognerebbe portare avanti cambiamenti più radicali nel modo in cui si produce l’energia. “Le emissioni prodotte dalle industrie sono diminuite del 19% rispetto al 2019, quelle dovute al settore energetico solo del 7%”, ha dichiarato Corinne Le Quéré, prima autrice dello studio pubblicato su Nature Climate Change. E aggiunge: “Non penso che ci sia un lato positivo della Covid-19 per quanto riguarda il clima, a meno che non sfruttiamo la ripresa delle attività come un’occasione per costruire infrastrutture adatte a sostenere un futuro a energia pulita”.

Green New Deal, Europa e Trump

Un nuovo impulso in questo senso dovrebbe arrivare dalla Commissione europea, attraverso lo European Green Deal, la strategia per far crescere l'Unione trasformandola in un'economia moderna, competitiva e sostenibile. Gli obiettivi, entro il 2050, sono di azzerare le emissioni nette di gas a effetto serra e dissociare la crescita economica dall’uso delle risorse. L’intenzione è quella di passare a un'economia pulita e circolare, ripristinando contemporaneamente la biodiversità e riducendo l'inquinamento.

Ma anche negli Stati Uniti, tra i 10 paesi al mondo in cui l’inquinamento uccide di più, il dibattito su una svolta “green” dell’economia è in pieno svolgimento, alimentato dalla campagna elettorale che si concluderà con le elezioni presidenziali di novembre.

Secondo una mozione parlamentare, firmata da un senatore democratico del Massachusetts, Ed Markey, e dalla deputata newyorchese Alexandria-Ocasio Cortez, l’obiettivo del Green New Deal è dare agli Stati Uniti un ruolo guida nel trainare “il mondo intero verso un’economia a zero emissioni carboniche nette entro il 2050”. Il governo federale dovrebbe adottare “misure drastiche per l’abbattimento dell’inquinamento in tutti i settori industriali, nei trasporti, nella produzione elettrica, nei riscaldamenti”, oltre a “pilotare la creazione di posti di lavoro qualificata nella ricerca ambientalista e nelle energie rinnovabili”. Aria pulita, acqua non inquinata, cibo non contaminato vengono definiti “diritti umani fondamentali”.

Per raggiungere questi obiettivi, è necessario che il “100% dell’energia elettrica sia generata con fonti rinnovabili” entro la fine del decennio, e che si attui un “rinnovamento completo della rete elettrica di distribuzione col passaggio alla tecnologia digitale”, investendo molto anche nei trasporti pubblici e nei veicoli elettrici.

Le critiche dei repubblicani non si sono fatte attendere e il presidente Donald Trump ha dichiarato di essere "un forte ambientalista”, di credere “fortemente nell'ambiente... ma il Green New Deal sarebbe un disastro".

Insomma, il coronavirus non salverà l’ambiente, dobbiamo farlo noi, ma ci ha dato un’ottima occasione per riflettere e pianificare le strategie migliori da applicare in questo senso. Ma il ritorno alla “normalità” è sempre più vicino e bisogna agire subito.