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Greenwashing, dai big dell'oil al fashion: i casi più clamorosi del 2022

Greenwashing e ambientalismo di facciata: nel 2022 i grandi colossi del settore petrolifero (ma non solo) hanno perseguito con pratiche "verdi" discutibili

Greenwashing, quando la lotta alla crisi climatica è solo business di facciata. Lo scenario 

Essere “green” per stare al passo con la moda. Finché non si scivola nel “greenwashing”. Pratica ormai comune, soprattutto a livello aziendale, l'ecologismo di facciata consiste nell’utilizzo della sostenibilità come mero strumento di pubblicità, e non un valore su cui fondare il proprio business. Perseguendo un unico obiettivo. Ovvero? Dimostrare a clienti e pubblico un sempre rinnovato impegno nei confronti dell’ambiente. Ma chi sono i maggiori marchi che hanno cavalcato l’onda di campagne verdi discutibili nell’anno appena passato? A scattarne una fotografia a tutto tondo è la rivista internazionale Eco Business, che ha raccolto i casi più clamorosi di falsa informazione ambientale. Dai colossi bancari internazionali ai big dell’oil, fino ai marchi di fast fashion: ecco lo scenario. 

Greenwashing e il caso di Hsbc: coltiviamo alberi (ma anche centrali a carbone)

Tra i protagonisti del greenwashing spicca sicuramente il settore bancario. Nell’analisi vengono prese in considerazione due realtà: Hsbc, uno dei più grandi gruppi al mondo, primo istituto di credito europeo per capitalizzazione con 157,2 miliardi di euro, e il colosso tedesco Deutsche Bank. Nel primo caso la realtà finanziaria ha subito il ritiro di una campagna pubblicitaria nel Regno Unito, dopo che l’autorità di controllo della pubblicità del Paese ha stabilito che Hsbc pubblicizzava un programma di piantumazione di alberi e il suo piano net-zero senza riconoscere che allo stesso tempo finanziava progetti di combustibili fossili.