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Rifiuti, il 2019 "anno nero". Lievitano i costi di smaltimento

Angelo Brancaccio

Saturazione degli impianti, crollo delle vendite dei materiali recuperati e quadro giuridico difficile hanno messo in crisi un settore

Mentre il governo annuncia un New Deal per l'ambiente, le imprese sono da tempo alle prese con un'emergenza silenziosa che attanaglia il mondo dei rifiuti, una situazione di quasi paralisi delle attività di riciclo e smaltimento a causa di una concatenazione di eventi. Da un lato la difficoltà di trovare collocazione alla frazione indifferenziata di comuni e aziende, purtroppo ancora elevata, negli unici impianti attrezzati per gestirla, discariche e inceneritori, per gli effetti del decreto "Sblocca Italia" del 2014 che ha consentito agli enti locali di superare il principio di prossimità e mandare i rifiuti anche in altre regioni.

Risultato, milioni di tonnellate di rifiuti viaggiano in tutta Italia saturando soprattutto gli inceneritori, che hanno alzato i prezzi per il conferimento. Dall'altro il crollo del valore di mercato della carta e plastica da raccolta differenziata a causa del blocco delle importazioni da parte della Cina. Carta e cartone in particolare hanno rappresentato per anni il migliore esempio di valorizzazione dei rifiuti. Per l'enorme richiesta, venivano pagati bene e questo permetteva alle imprese che ritiravano ed esportavano di pagarsi i costi di gestione e di riconoscere anche ricavi ai produttori. Il blocco delle esportazioni ha messo in crisi un settore, il valore è ormai negativo e i materiali restano negli impianti, aumentando il rischio d'incendio.

Tutto questo all'interno di un quadro giuridico ingiustificatamente ostacolante. La sentenza del Consiglio di Stato 1229/2018, che ha fatto molto discutere, ha concesso solo allo Stato il potere di decidere la cessazione della qualifica di rifiuto, facendo decadere anni di prassi che individuava nelle regioni e province il potere di rilasciare autorizzazioni impiantistiche affinchè taluni materiali in certe condizioni potevano non essere più considerati rifiuti (cd. "End of waste"). Ciò stava comportando la drammatica conseguenza che impianti operanti da tempo non si vedevano più rinnovate le autorizzazioni. Ne è seguito il decreto n.32/2019 "Sblocca Cantieri" che, nel decidere quando un rifiuto non lo è più, si rifaceva ai criteri di un Dm del 1998, cioè un testo vecchio di vent'anni. La correzione è avvenuta con decreto "Crisi aziendali", di prossima uscita, dove è stato reintrodotto il potere di decidere l'end of waste in capo alle regioni seppur in un quadro di controlli da parte del Ministero, cosa che però non è piaciuta a Fise Unicircular, che ha parlato di meccanismo "burocratico che va a sovrapporsi a competenze già esistenti e collaudate" e del ruolo del ministero come di "un'ingombrante funzione di accertamento".

Per ora il blocco dell'intero comparto è stato scongiurato portando i costi di smaltimento alle stelle, raddoppiati e in alcuni casi anche triplicati. Un vero salasso per le imprese, con anche il rischio infiltrazione di imprese criminali che possono proporre prezzi inferiori. Parallelamente alla crisi del mercato tradizionale dei rifiuti non convincono, almeno per ora, le filiere alternative, come quella delle bioplastiche. Questi materiali sono costituiti solo in minima parte da componente degradabile, dunque non sempre si riescono a trattare negli impianti di compostaggio. Ne sa qualcosa Alia, la municipalizzata dei rifiuti di Firenze, che ha dovuto fare una clamorosa retromarcia rispetto al programma di separazione delle bioplastiche dopo aver scoperto che gli impianti non riuscivano a trattarle. E anche Greenpeace parla di soluzioni alternative delle multinazionali come false soluzioni, spiegando come la plastica compostabile lo sia solo all'interno di impianti di compostaggio industriale che non esistono ovunque e dove esistono non sono in grado di gestire grossi volumi. La conseguenza è che anche le plastiche cosiddette biodegradabili finiscono in discarica o incenerimento.