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Illecita somministrazione di manodopoera le responsabilità (para)penali

di Guido Sola

Con sentenza depositata recentemente [Cass. pen., sez. III, 27-1-2022, n. 16302], la Corte di cassazione ritornava a ragionare d’appalto, (illecita) somministrazione di manodopera e frode fiscale, confermando la responsabilità (para-)penale d’imprese ed imprenditori laddove, come nel caso di specie, gli stessi avessero dato vita a meccanismi finalizzati ad indebitamente recuperare l’IVA, con ciò abbattendo i costi d’impresa.

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La società X s.p.a. proponeva ricorso per cassazione contro l’ordinanza con la quale il tribunale aveva confermato il decreto di sequestro preventivo del giudice per le indagini preliminari.

Nel confermare detto decreto, più precisamente, il tribunale aveva mostrato di condividere l’impostazione propria della procura della Repubblica, che vedeva la società X s.p.a. incolpata in sede (para-)penale [i.e. ex artt. 5 comma 1 lett. a), 6 comma 1 lett. a e 25 quinquiesdecies d.lgs. 8-6-2001, n. 231] per avere gli amministratori della stessa [presidenti del consiglio d’amministrazione e consiglieri delegati] indicato nelle dichiarazioni IVA elementi passivi fittizi [sub specie d’IVA indetraibile], con ciò integrando gli estremi del delitto previsto e punito dall’art. 2 d.lgs. 10-3-2000, n. 74 [Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti].    

Dopo avere premesso che, in materia d’impugnazioni cautelari reali, non sono ammesse doglianze aventi ad oggetto i vizi di motivazione [ma unicamente quelle aventi ad oggetto i vizi di violazione di legge. In questi termini, Cass. pen., sez. un., 29-5-2008, n. 25932], i giudici di legittimità precisavano come, nel caso di specie, il tribunale avesse correttamente motivato le ragioni per le quali il contratto d’appalto stipulato dalla società X s.p.a. dovesse essere considerato fittizio [i.e. simulato], avendo detta società inteso coprire il sottostante contratto di (illecita) somministrazione di manodopera.

Se corrisponde a verità, infatti, che il discrimine tra appalto e somministrazione di manodopera, per costante giurisprudenza di legittimità, deve essere filtrato attraverso il prisma proprio dell’esercizio del potere di direzione e d’organizzazione [con la conseguenza che, ove detto potere resti interamente affidato alla committenza, s’avrà (illecita) somministrazione di manodopera. In questi termini, Cass. civ., sez. VI, 25-6-2020, n. 12551], non v’è allora chi non veda come, nel caso di specie, il contratto d’appalto che qui c’occupa non potesse non essere considerato fittizio [i.e. simulato], essendo stati i materiali utilizzati dalla manodopera di proprietà della committenza ed avendo «vari soggetti» inquadrati nell’ambito della committenza impartito disposizioni organizzative alla manodopera [giungendo finanche a «richiede(re) report individuali sui lavoratori»].

Ciò detto, i giudici di legittimità chiarivano che, in subiecta materia, s’ha corretta applicazione dell’IVA  unicamente allorquando i rapporti tra committenza ed appaltatore [ovvero tra committenza e agenzia interinale] risultino improntati a «reale interposizione di manodopera» [in caso contrario, venendo ad essere applicata indebitamente, l’IVA non sarà detraibile. In questi termini, Cass. civ., sez. V, 20-5-2013, n. 16852].

In difetto, se, sotto il profilo tributario, la committenza dovrà altresì «eseguire (gli) adempimenti fiscali in qualità di sostituto d’imposta», sotto il profilo penale, la stessa sarà chiamata a rispondere del delitto previsto e punito dall’art. 2 d.lgs. 10-3-2000, n. 74, con conseguente punibilità a titolo di frode fiscale della società in nome e per conto della quale le persone fisiche operavano [su queste stesse basi, non a caso, Cass. pen., sez. III, 14-3-2019, n. 31202, affermava la punibilità (appunto) a titolo di frode fiscale della società che, operando nell’ambito della logistica, aveva appaltato servizi di facchinaggio e correlative prestazioni accessorie a consorzi che, a loro volta, avevano ri-assegnato detti servizi a cooperative a loro riconducibili: «(t)ale meccanismo» – osservavano, nell’occasione, i giudici di legittimità – «aveva permesso alla società utilizzatrice di impiegare la manodopera messa a disposizione delle cooperative instaurando di fatto (…) un rapporto del tutto assimilabile a quello di lavoro dipendente; con la conseguenza, sotto il profilo fiscale, che le fatture emesse dalle società consorziate erano da qualificare come oggettivamente inesistenti» in quanto emesse in violazione di quanto previsto dall’art. 18 d.lgs. 10-9-2003, n. 276].

Nel caso di specie [osservava la Corte di cassazione nel concludere], l’IVA (che sarebbe stata) dovuta dalla società X s.p.a. veniva neutralizzata dall’IVA a credito che derivava dalle fatture emesse dalle società cooperative.

Con la conseguenza, per quel che qui importa, che, così operando, detta società, negli anni, risultava avere portato indebitamente in detrazione IVA in misura pari a € 20.748.948,41.