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3) Le streghe di Manningtree di A.K. Blakemore (Fazi)
Lasciamo il fantasy e il sovrannaturale per avventurarci in un territorio non meno inquietante, cupo, terribile, dove tuttavia al termine magia occorre sostituire quello di stregoneria e alla curiosità intesa in senso positivo il sospetto, con un’accezione ben diversa. Ci troviamo nell’Inghilterra di metà Seicento, periodo in cui esplose la cosiddetta caccia alle streghe: la crescente perdita di potere degli uomini a fronte di società costituite principalmente da donne, la caduta dei principi illuministi e le guerre civili che mettono a repentaglio la monarchia, gettando il Paese nella miseria, sono il giusto contesto per scatenare la paura tra i sudditi; e come ben sappiamo la prima cosa che – più o meno consciamente – si fa quando si è spaventati è cercare un colpevole, un capro espiatorio a cui addossare la responsabilità della crisi, convincendosi che, una volta debellato, tutto andrà meglio. Nel Seicento inglese accadde proprio questo: occorreva una vittima sacrificale e si scelsero le donne ai margini della società, misteriose, un po’ strane, fuori dalle righe, magari con interessi per le erbe e l’alchimia; insomma, per la società dell’epoca le streghe. Il primo romanzo di A.K. Blakemore, in Italia edito da Fazi Editore con grande successo e molta attesa, è stato la rivelazione dello scorso anno, vincendo il Desmond Elliott Prize come miglior esordio del Regno Unito e arrivando finalista ad altri premi, tra cui i prestigiosi Costa First Novel Award e RSL Ondaatje Prize.
Le streghe di Manningtree è una lettura travolgente che consigliamo per cominciare questo 2024 con uno sguardo fisso sul passato, per ricordarci che cosa accade quando la ragione viene sostituita dalla superstizione. Attraverso una storia inventata, che vede protagonista la giovane Rebecca West, l’autrice narra un periodo della storia inglese e un insieme di accadimenti che si verificarono realmente e andarono per l’appunto sotto il nome di caccia alle streghe. Quello che in questo libro succede a Rebecca, a sua madre, a molte donne come loro e più in generale all’intera comunità prevalentemente femminile in cui vivono è lo specchio di quanto si verificò nel corso di un secolo a tanti altri villaggi, gruppi di lavoratrici, o semplici amiche che condividevano la passione per la scienza. Si era infatti anche nel periodo in cui la medicina assumeva sempre più un’importanza strategica, basandosi quasi esclusivamente su rimedi tratti dalle erbe e da altri elementi della natura; eppure, il sapere medico, alchemico, scientifico e fitoterapico era appannaggio degli uomini, che mai sarebbero stati additati come stregoni. Per le donne era diverso, poiché da esse non ci si aspettava niente di più rispetto alle attività che da secoli erano solite svolgere; così, quando una comunità diventava di prevalenza femminile – ad esempio a causa di una guerra che riduceva drasticamente il numero degli uomini – essa si trasformava quasi sempre in una minaccia, poiché di fatto le donne, in questo modo, acquisivano maggior potere e sapere, entrambi elementi che non dovevano possedere.
Attraverso un racconto avvincente, dove si intrecciano le vicende di personaggi perfidi, meschini, calunniatori o al contrario coraggiosi, intelligenti e controcorrente, la Blakemore ci restituisce con una narrativa agevole e uno stile piacevole una pagina della storia inglese che solo ultimamente sta venendo riscoperta e raccontata. Nella postfazione è lei stessa a fornirci un quadro storico assai preciso della caccia alle streghe, che fu segnato in particolare da alcuni personaggi – come John Stearne e Matthew Hopkins, Inquisitore generale – e dal picco degli anni Quaranta, nonostante esso costituì solo il climax di un processo durato ben più a lungo. Basti pensare che in quel breve lasso di tempo vennero condannate a morte per stregoneria un numero di donne che oscilla dalle cento alle trecento, considerando che non sempre questa motivazione veniva menzionata come causa ufficiale della condanna. Scrive a tal proposito l’autrice facendoci venire i brividi: «La cosiddetta “caccia alle streghe” durante la guerra civile inglese fu un periodo di persecuzione senza precedenti che gli storici hanno attribuito a una miriade di fattori sociali, religiosi, economici e locali: il vuoto delle istituzioni e la carestia diffusa generati dalla guerra (che interferì anche con le normali procedure legali), un anticattolicesimo virulento, il crescente radicalismo puritano nel Sud dell’Inghilterra, l’ascesa del ceto mercantile e il sentimento ambiguo nei confronti della povertà e del vagabondaggio (la fede in un Dio provvidenziale tende a inasprire l’opinione dell’individuo riguardo al prossimo in difficoltà: non esiste la sventura, solo la collera divina)».
Oggi al Dio provvidenziale e alla collera divina si è sostituito un altro credo altrettanto pericoloso: quello del “se vuoi, puoi”. Un’illusione che ci riavvicina all’Illuminismo in termini di controllo nelle mani dell’essere umano (o per le meno, il desiderio di credere alla possibilità di determinare quasi pienamente il proprio futuro) e di conseguenza ci fa valutare con poca empatia, talvolta persino con disprezzo, chi vive in povertà o fuori dalle righe. Contemporaneamente, stiamo attraversando un’epoca di crisi economica, guerre, sconvolgimento di ordini e forze mondiali durati per decenni, cambiamento climatico, aumento a dismisura della popolazione e in generale una grande incertezza nei confronti del futuro che, proprio come in passato, genera confusione, paura, insicurezza e di conseguenza cerca negli emarginati, negli ultimi, nei diversi – come è da sempre – i colpevoli di ogni male. Ecco perché Le streghe di Manningtree, ben al di là dell’essere un semplice romanzo storico, si pone come un monito per noi stessi, un campanello di allarme e, attraverso il racconto degli errori compiuti in passato, si dimostra effettivamente utile, importante, educativo, oltre che intrigante in ogni sua pagina.