Libri & Editori

Cinque libri da leggere a novembre 2023

di Chiara Giacobelli

Italiani e stranieri, bestseller ed esordienti, saggi e narrativa: ecco le nostre proposte per il mese di novembre

Tra le molte pubblicazioni che sono apparse in libreria nei mesi scorsi e all’inizio di novembre, abbiamo selezionato cinque titoli che, dopo averli letti, ci sono sembrati meritevoli di essere consigliati. Ecco i nostri suggerimenti da leggere tra una castagnata e una cioccolata calda.

1)  La luce che manca di Nino Haratischwili (Marsilio)

Se a qualcuno non si fosse ancora accesa una lampadina, ricordiamo che Haratischwili è l’autrice di L’ottava vita (per Brilka), un bestseller in testa alle classifiche mondiali per mesi, tradotto in venticinque lingue, candidato all’International Booker Prize e vincitore di altri premi prestigiosi, presto sullo schermo grazie a una serie televisiva in lavorazione. Il successivo romanzo della scrittrice georgiana, che è già una delle penne più acclamate del pianeta a soli 40 anni, era atteso con molta curiosità dai lettori di ogni dove, Italia compresa. È stato finalmente pubblicato nel nostro Paese nel mese di settembre da Marsilio, con il titolo La luce che manca: la prima cosa che si nota è la mole del volume, come d’altra parte accadeva per il suo predecessore; circa 700 pagine in cui immergersi per una lettura che richiede apertura mentale e concentrazione, ideale peraltro in un mese di transizione verso l’inverno come novembre.

La luce che manca è molte cose insieme, tutte di grande interesse e fortemente attuali. In primo luogo è un romanzo sull’amicizia e sul potere dei legami interpersonali, anche quando questi si trovano a dover affrontare prove difficili. Protagoniste della storia sono infatti Qeto, Dina, Nene e Ira, quattro bambine georgiane che diventano inseparabili; è la magia della “sorellanza” che consente loro di scovare momenti di gioia e tenerezza in un Paese devastato dalla guerra, dalla crisi politica, dal dissesto economico e dalla corruzione. Nella povertà, nella semplicità, nella mancanza persino delle cose basilari, la loro piccola comunità si rinsalda e va avanti forte, compatta, per lo meno fino a quando un evento inatteso minerà il gruppetto dalle fondamenta, senza però riuscire a disintegrarlo. Secondariamente – e in maniera correlata al primo punto – questo è un romanzo femminista, non soltanto perché le voci narranti, nonché i punti di vista, sono quelli di quattro bambine poi divenute adulte, ma soprattutto per il messaggio veicolato, secondo cui è attraverso l’unione solidale che l’elemento femminile può farsi strada nella vita. Non solo: quando tre di loro si ritrovano da adulte a Bruxelles, è per partecipare alla retrospettiva fotografica di Dina, che a suo modo è riuscita a farsi notare e a lasciare delle tracce indelebili, nero su bianco. È quindi la storia di un riscatto tutto al femminile, sebbene in realtà Dina sia la grande assente, il vuoto da colmare.

In terzo luogo, e qui ci fermiamo perché le tematiche e le digressioni potrebbero essere davvero moltissime, La luce che manca è il ritratto di una Georgia costretta a fare i conti con il dominio russo e con la crisi dell’Unione Sovietica. Se è vero che i temi dell’amicizia e del femminismo fanno sempre presa sui lettori, è forse però proprio l’aspetto storico, basato su un ricco lavoro di documentazione e sull’esperienza personale dell’autrice – che non a caso ambienta i fatti proprio nella città di Tbilisi, dove è nata e cresciuta prima di trasferirsi in Germania –, ciò che risulta più stimolante dal punto di vista intellettuale e culturale. La Georgia è una nazione a poca distanza da noi, che negli ultimi anni è divenuta meta del turismo di massa persino a basso costo; tuttavia, la maggior parte degli italiani (e probabilmente degli europei) non sa quasi nulla del suo passato, di ciò che gli abitanti hanno vissuto nei decenni scorsi e di come ancora oggi il Paese fatichi a decollare. Se è vero che per l’autrice La luce che manca è quel raggio che a un certo punto illumina il passato per portare in superficie la verità, la si può interpretare anche come il riflettore che una scrittrice di successo accende su un territorio vasto, ricco, con molto da offrire, eppure poco conosciuto, studiato, visitato.

La luce che manca
 

Detto ciò, la particolarità di questo libro impegnativo ma altamente gratificante è la scrittura di Haratischwili, la quale – come nel suo romanzo d’esordio – è una maestra nel riuscire a gestire numerose situazioni parallele, una mole di personaggi che intrecciano tra loro le proprie vicende, fili narrativi principali e secondari, salti temporali che richiedono l’attenzione massima del lettore per non perdersi nei meandri della trama. A parlare in prima persona è Qeto, sebbene la vera stella brillante – nella sua assenza – sia Dina, la quale racconta una storia parallela attraverso le proprie immagini. Se da una parte non si può non restare colpiti dallo stile di scrittura innovativo e avanguardistico dell’autrice, che può piacere moltissimo oppure no, dall’altra il valore di questo grande affresco che scorre con un ritmo volutamente lento è la bellezza delle istantanee: scorci di vita nei sobborghi della città, odori e colori di una Georgia ormai scomparsa per sempre, pericoli, momenti di passione ed erotismo, sperimentazione, la povertà senza veli, le descrizioni così veritiere dei vicoli, delle piazze, delle case, persino delle pareti. In questo modo l’autrice ci permette di tornare indietro nel tempo per scoprire un mondo da conoscere e apprezzare, pur nelle sue mille contraddizioni.

“La luce della sera le si impigliava tra i capelli. Ce l’avrebbe fatta, avrebbe superato anche quell’ostacolo, avrebbe premuto con tutte le sue forze il corpo contro la cancellata, che avrebbe continuato a opporre una debole resistenza al suo peso e poi, con un sospiro, avrebbe ceduto. Sì, avrebbe forzato quell’ostacolo non solo per sé stessa ma anche per noi tre, per aprire la strada verso l’avventura alle sue inseparabili compagne.Per una frazione di secondo trattenni il respiro. Osservavamo a occhi spalancati la nostra amica che si trovava tra due mondi: un piede ancora sul marciapiede di via Engels, l’altro già nel buio cortile interno dell’Orto botanico; oscillava tra il lecito e il proibito, tra il prurito dell’ignoto e la monotonia del consueto, tra la strada di casa e l’azzardo. Era la più coraggiosa di noi quattro e ci stava aprendo un mondo segreto in cui lei sola era in grado di farci entrare, perché per lei inferriate e recinti erano privi di significato. Era Dina, che nell’ultimo anno di quel secolo di piombo, malato e boccheggiante, sarebbe finita con un cappio al collo, un cappio improvvisato con la fune di un anello da ginnastica”.

Lo consigliamo perché: Nino Haratischwili è tra le più quotate scrittrici contemporanee, in grado di dare vita a uno stile particolare e unico nel suo genere. Avvicinarsi alla sua arte narrativa è un’esperienza che ogni lettore di oggi dovrebbe fare, a prescindere dall’esito della sperimentazione.