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Amleto De Silva: il giro lungo del pugilatore
Ne Il pugilatore, Amleto De Silva racconta la vita di Sonny Liston, primo pugile a sfidare Cassius Clay-Muhammad Ali e campione di pesi massimi
Le sue recensioni e i suoi dieci peggio mi convincono anche quando non sono d’accordo. Credo che mi farebbe apprezzare anche la Juventus se ne scrivesse bene. Questo è, ovviamente, un paradosso perché non succederà mai che Amleto De Silva della Juve, anche male. Mi piace praticamente tutto di quello che scrive: le storie dei suoi romanzi, i post del suo blog, le sue recensioni, gli haiku, le centinaia di dieci peggio, persino la lista della spesa da autore anziano.
Oggi, invece, mi occupo di lui perché è uscito il suo nuovo libro Il pugilatore, per quelli di Les Flaneurs Edizioni. Il titolo vale da solo i soldi pagati per comprarlo. Amlo si è decisamente superato in questa opera perché è veramente un’altra cosa rispetto a tutte le altre. Certo è la storia di Sonny Liston, nato Charles L. Liston, campione dei pesi massimi dal 1962 al 1964, il primo pugile a sfidare Cassius Clay - Muhammad Ali, analfabeta, alcolista, pregiudicato, ex galeotto.
Ancora oggi è considerato uno dei più grandi pugili di tutti i tempi e, come si legge nel risvolto di copertina “Liston ha avuto tante vite, quanti pugni in faccia”. Una frase che, minimo, ti fa sanguinare il naso per solidarietà. A soli 38 anni, il 5 gennaio 1971, l’orso cattivo, il pugile della mafia, il genio invidiato da scrittori, giornalisti e politici, viene trovato morto. Nessuno, nemmeno oggi, sa di preciso quando e come è morto. Forse un infarto, ma anche no.
De Silva ci racconta la sua storia, ma la infarcisce di una raccolta spettacolare di aneddoti, riferimenti storici e culturali, storielle e altre curiosità, frutto di un lavoro di ricerca che si dovrebbe imporre come regola fondamentale non per diplomarsi in una scuola di scrittura, ma proprio per aprirne una. Questo libro è una bellissima lezione di storia e di vita, tra l’altro scritta veramente bene, perché dietro queste pagine c’è del mestiere vero, oltre alla bravura di Amlo.
Mi riferisco al lavoro di Alessandra Minervini, una delle professioniste della scrittura più brillanti e talentuose in circolazione. Non me ne vorranno gli altri che hanno lavorato a questo progetto, ma io cerco, nel limite delle mie possibilità, di parlare solo di quelli che conosco. Dunque, un libro su un campione della boxe che ha vissuto tutta la vita senza saper leggere né scrivere, ed è riuscito a diventare campione del mondo dei pesi massimi. Non sapeva quanto sarebbe durata quella vita, come non sapeva quale fosse il giorno del suo compleanno. La madre, Big Hela, non se lo ricordava, ipotizzava gennaio perché faceva freddo.
Quello che, però, Sonny conosceva bene erano le frustate del padre, gliele ricordavano ogni giorno le cicatrici che si portava dietro. Io ho un debole per le storie di pugilato, sarà perché mio nonno è stato negli anni prima della Seconda guerra mondiale un discreto boxeur a Torino. Quando c’è un film sul pugilato non posso fare a meno di guardarlo: Rocky, Cinderella Man, Million Dollar Baby, Toro Scatenato, Hurricane, Lassù qualcuno mi ama, ma anche Vittorio Gassman ne I soliti ignoti o Bud Spencer in Bomber, fino a Charlie Chaplin (Luci della Città, 1931) o Stanlio e Ollio (Pugno di Ferro, 1932) nei panni di improbabili pugilatori.
De Silva in questo libro fa una cosa che adora, il cosiddetto “giro lungo” che è il suo modo per far durare il più possibile quello che gli piace. È quello che fanno certi barzellettieri bravi, così ci racconta nel libro, come il suo amico Luciano e Walter Chiari, maestri del giro lungo. Per non farsi mancare niente, racconta anche del Presidente Kennedy che si rifiuta di incontrare Sonny quando, da campione del mondo dei pesi massimi, viene invitato alla Casa Bianca. Lo accoglie il vicepresidente, Lyndon Johnson perché un Kennedy non si può mischiare con qualcuno che ha a che fare con la mafia.
Un’altra citazione garbata e gentile è quella che riserva alla striscia Doonesbury di Garry Trudeau, ma non una qualsiasi, quella tradotta da Enzo G. Baldoni, uno che ha tradotto anche Lauzier e Frank Miller, ucciso nel 2004 in Iraq dai fondamentalisti islamici. Lo sapevate voi? Da Amlo c’è sempre qualcosa da imparare. Tra una ricerca e l’altra, intorno a Sonny Liston, trova anche il modo di dare un punto di vista diverso sulla campagna Black Lives Matter che definisce il “frutto di un’ondata di solidarietà pelosa in tutto il mondo”, che ci ha costretto a vedere “ogni tipo di imbecille in ginocchio e con la faccia contrita”.
Secondo De Silva, se manifesti solidarietà devi anche essere utile materialmente. Se ci guadagni solo tu, anche in termini di reputazione, la cosa puzza un po’. Sa pure che dire queste cose non è popolare, ma le dice lo stesso, perché lui non è un giudice che manda in galera la gente. E lancia anche un messaggio agli intellettuali, giornalisti e autorità varie che hanno aderito contriti al movimento americano: “potrebbero, loro che possono eccome, occuparsi dei nostri schiavi, dei nostri negri. Non è che siano nascosti: basta farsi un giro nei campi e li vedi a raccogliere pomodori e dormire nelle baracche”.
Vi consiglio caldamente di leggere le pagine dove De Silva ricostruisce l’incontro tra Liston e Patterson al Comiskey Park di Chicago il 25 settembre 1962 con a bordo ring un giovane, esuberante ed arrogante Cassius Clay che si sbraccia, si dimena e urla come un ossesso. L’anno successivo, il 22 luglio 1963 a Las Vegas, si tenne la rivincita con un secondo ko di Liston ai danni di Patterson al primo round, dopo averlo messo al tappeto per tre volte.
Tra un episodio e l’altro, tratto dal cilindro di De Silva che sembra le tasche di Eta Beta, si arriva all’epilogo del secondo incontro con Cassius Clay - Muhammad Ali nel 1965. Il primo round fatale, quello del famoso “pugno fantasma” che manda Liston al tappeto, ma che nessuno vide, scatenando i sospetti che i match con Alì fossero combinati.
“Non c’è alcun dubbio che Alì sarebbe comunque diventato campione del mondo. Sonny era già più vecchio di lui, e Alì cresceva ogni singolo giorno atleticamente, mentre Sonny continuava a bere e a farsi arrestare. Alì, più prima che poi, lo avrebbe battuto senza tutte queste tarantelle. E che Sonny fosse destinato a perdere il titolo, be’ lo avrete capito, era scritto sul certificato di nascita che non aveva mai potuto esibire”. Che la pace di un buon libro, sia con voi.