Libri & Editori
Dozzina Premio Strega: le interviste agli autori e alla Presidente
Uno speciale interamente dedicato alla dozzina del Premio Strega 2023: ecco tutto quello che c’è da sapere
11) Tornare dal bosco di Maddalena Vaglio Tanet (Marsilio)
L’opera in concorso di Maddalena Vaglio Tanet, giovane autrice di talento che nel 2021 era arrivata finalista al Premio Strega Ragazzi come miglior esordio con il libro illustrato Il cavolo di Troia e altri miti sbagliati, è tra quelle che più si diversificano dalle altre. Lo si nota sin dalla cover, con quel tripudio di foglie, alberi e natura: il bosco è l’ambiente in cui è ambientato questo romanzo che, come genere, strizza l’occhio al mistery. In realtà, scopriremo ben presto che anche qui torna il tema inquietante della morte e del suicidio, tuttavia viene trattato in maniera diversa rispetto ai titoli visti finora, con uno stile narrativo che rimanda al thriller psicologico.
Lo spiega bene l’autrice stessa, che ha scritto Tornare dal bosco, edito da Marsilio, a partire da una storia accaduta realmente e da lì ha proseguito sui sentieri dell’immaginazione. “Il romanzo reinventa e trasfigura una vicenda a cui penso da quando ero ragazzina e che all’epoca mi è arrivata in maniera frammentaria e obliqua, attraverso allusioni, informazioni sparse, scampoli di conversazioni. Di questa storia delicata, dolorosa, non si parlava mai apertamente. La cugina di mio nonno, maestra, non sposata e senza figli, era parte integrante della famiglia. Viveva accanto ai miei nonni in una casa comunicante e pranzava e cenava con loro. A quel tempo era già in pensione, amatissima da generazioni di ex allievi. Era piuttosto diversa dalle altre donne che mi hanno cresciuto: mia madre, mia nonna, la mia bisnonna, definite dal loro essere appunto madri e sposate o divorziate o vedove. Lei invece era forse più sola, ma anche ai miei occhi più libera. Non cucinava, non puliva la casa e non faceva niente di quello che ci si aspettava da una signora. Aveva un carattere svagato e distratto e sovente si perdeva nei suoi pensieri, un tratto in comune che ci rendeva complici. A un certo punto, non saprei ridire esattamente quando, ho capito che nella vita adulta della maestra era successo qualcosa che l’aveva segnata. Alla fine degli anni Sessanta era scomparsa per giorni, quindi era tornata a casa mezza morta di fame e di sete, bagnata fradicia di pioggia, sporchissima. Dov’era stata, e perché se ne era andata? Non volevano dirmelo. Era una storia tragica. Più avanti ho saputo: una sua allieva, una ragazzina quasi dodicenne, si era uccisa gettandosi nel torrente dopo un litigio con i genitori. La maestra si sentiva responsabile perché aveva comunicato lei alla famiglia che quel giorno la bambina non era andata a scuola. Si sentiva in colpa. Il dolore l’aveva travolta. A quel tempo avevo più o meno l’età della ragazzina e la storia mi aveva molto turbata”.
Di nuovo rintracciamo all’interno di questo romanzo avvincente i temi della perdita, dell’incomunicabilità, della solitudine, del lutto: forse in questo romanzo, più che in ogni altro, si esplora la dimensione sociale e collettiva della ferita, quella da cui sanguina il nostro Paese. In questo caso il luogo in cui l’autrice sceglie di ambientare questo dramma è il bosco, elemento carico di molteplici significati. “Investita dalla perdita, Silvia non sopporta di parlare, di essere osservata, confortata. Le sembra che non esista conforto possibile per quello che è successo. Vorrebbe disfarsi della sua coscienza umana, farsi bosco. Eppure, oltre al dolore, sono umani anche la compassione, la cura tramite i gesti e le parole, l’amicizia, il bisogno di amore. A poco a poco lei lo riscopre. Un altro aspetto che mi interessava molto era la costruzione di un personaggio non abituato a nominare i sentimenti, a parlare dei suoi dolori. È un tratto di mentalità collettiva, riassunto dai modi di dire comuni “non farla lunga” e “tiriamo avanti”. Del resto restiamo tutti misteriosi, in una certa misura, elusivi persino per noi stessi. Scegliere di vivere, di ridare il proprio assenso alla vita, come fa Silvia, non è una questione di ragionamento o di comprensione. Dal bosco non si torna guariti. A volte, semplicemente, si torna”.