Libri & Editori
Piazzoni, Il Novecento dei libri: “All’editoria serve progettualità culturale”
Il nuovo saggio di Irene Piazzoni ripercorre la storia dell’editoria italiana nel ‘900: Affaritaliani.it l’ha intervistata per fare il punto della situazione
Nella crisi economico-finanziaria degli anni '80 quali sono stati i fattori decisivi? È venuto meno, come scrive, il contributo di finanziatori esterni come erano stati Mattioli per Einaudi o Monti per Longanesi?
Innanzitutto, il fenomeno di crisi e ristrutturazione del comparto editoriale cha ha una portata internazionale e non riguarda solo l’Italia. Vi concorrono l’interesse dei grandi gruppi industriali e finanziari per il comparto dell’editoria libraria, emblematico il ruolo della Fiat, la tendenza – proprio per rispondere alle difficoltà finanziarie, diminuire i costi e aumentare gli utili – a fondere ed acquisire marchi, e a controllare diversi settori del mercato della comunicazione, in sintesi l’avvio delle concentrazioni. Alcuni marchi sono troppo deboli finanziariamente per sostenere l’aumento del costo del denaro, delle materie prime e del lavoro. C’è poi senza dubbio un mutamento del clima politico, che comporta un indebolimento delle fonti di sostegno che vengono da alcune centraline politiche, o da alcune centraline finanziarie legate a un contesto politico-culturale che è stato spazzato via negli anni Settanta.
Non incide in questo anche l'eccesso di pubblicazione di libri a fronte di un mercato di lettori non comparabile con quello di altri paesi europei?
In Italia in effetti si pubblica molto rispetto alle dimensioni anguste del mercato, nel passato e ancor di più in tempi recenti. Il fenomeno è stato studiato. In parte è indizio della vivacità del panorama editoriale che vede la presenza di un grande numero di piccoli e piccolissimi editori. In parte è segno di debolezza. Lo sviluppo tecnologico, con l’introduzione della stampa digitale, ha consentito di abbassare i costi di produzione del libro e sono numerosi in Italia gli autori disposti a scrivere gratis pur di vedersi pubblicati. Inoltre, pubblicare tanti titoli significa moltiplicare le possibilità di avvicinarsi al best seller e di moltiplicare le occasioni di estendere la rete di conoscenze intorno a una casa editrice.
Come giudica il ruolo dell'editoria indipendente e secondo lei da cosa deriva lo sviluppo di questo segmento a partire dagli anni '90, quando si rafforza il processo di concentrazione del mercato?
Nell’ultimo capitolo mi soffermo sui nuovi editori che si affermano negli anni ’90, penso a Minimum Fax, Iperborea, Voland e/o case editrici che hanno giocato sulla specializzazione e sulla mediazione con altre culture letterarie con significativi riscontri. È la dimostrazione che quando si punta su una proposta forte e originale, sulla creazione di un pubblico, di una rete di traduttori e di “mediatori” culturali, su un intelligente e accattivante progetto grafico un’affermazione dei piccoli editori è possibile anche in un mercato che tende alle concentrazioni. Non casualmente le case editrici indipendenti di letteratura puntano su letterature straniere più di nicchia o su quei segmenti della produzione anglosassone “di ricerca” meno nota in Italia, si tratta di un’arma sicura per il basso valore dei diritti e per l’alto tasso di riconoscibilità che garantisce.
Dal suo libro l'editoria cattolica sembra avere un ruolo marginale nel panorama complessivo…
L’editoria cattolica ha conosciuto nel Novecento un irrobustimento, una riorganizzazione, una notevole modernizzazione. Un processo evidente negli anni tra le due guerre quando nascono Vita e Pensiero, Studium e Morcelliana, senza contare l’esperienza delle Edizioni di Storia e letteratura di Giuseppe De Luca, anche se qui siamo nel campo della altissima erudizione, e senza contare al peso dell’editoria cattolica nel settore della scolastica. Ma indubbiamente non ha contato in misura proporzionale al peso della cultura cattolica e del cattolicesimo in Italia, soprattutto nel secondo dopoguerra, se consideriamo quei libri che entrano nel dibattito e nel lavoro culturale e assumono un’importante valenza nel discorso pubblico. Con poche eccezioni, Lettera a una professoressa di don Lorenzo Milani, pubblicato nel 1967, libro che ha segnato la generazione del Sessantotto, che non a caso si inserisce in quel clima di fermento che percorre l’editoria cattolica dopo il Concilio Vaticano II, e poi Ipotesi su Gesù di Vittorio Messori.
Che cosa ne pensa dell’ultimo ventennio, non incluso nel suo excursus: quali direttrici si intravedono?
Con la crisi del 2008-09 vi sono state conseguenze negative sia sul mercato del libro sia sul sistema editoriale e un accentuarsi della tendenza alla concentrazione. Tuttavia, l’irrobustimento dell’e-commerce, la nascita della blogosfera che ha alimentato in rete la passione per la lettura e il dibattito sui libri, la vivacità che ha dimostrato il mondo editoriale con la nascita e l’emersione di una serie interessante di sigle, la vitalità del settore del libro per i ragazzi sono certamente fattori positivi. Resta il dato della stagnazione del mercato della lettura. Tra l’altro gli ultimi riscontri relativi al 2020 sui dati di acquisto in piena situazione pandemica segnalano un andamento più positivo, soprattutto per e-commerce ed editoria digitale, e, naturalmente questa è un’ottima notizia, così come lo è stata la legge approvata nel febbraio del 2020 per la promozione e il sostegno della lettura. Tuttavia, l’impatto della pandemia sul mercato e sulla filiera del libro è senza dubbio rilevante, anche se si dovrà attendere un po’ per misurarlo.
E il ruolo degli editori in questo scenario? Sembra diffondersi il “fai da te” nelle modalità di consumo di libri e contenuti…
La comunicazione in rete e sui social ha raggiunto un volume tale da dare l’impressione di una enorme dispersione e di una incontrollabile diffusione di informazioni, notizie, punti di vista. È fondamentale, a mio parere, che l’editoria sia in grado di svolgere una funzione di mappatura, di ipotesi di ordine, di interpretazione e di invito alla lettura dei prodotti culturali, e perché ciò avvenga è importante una progettualità culturale. Questo non significa affatto dimenticare il profitto, significa trovare modo di contemperare armonicamente come diceva Pierre Bourdieu, le qualità di colui che sa leggere e le qualità di colui che sa contare.