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“Un romanzo russo”: uno dei libri più personali di Carrère

di Chiara Giacobelli

È stato pubblicato di recente da Adelphi in edizione tascabile il romanzo che Carrère scrisse per sua madre, scomparsa da poco

Un romanzo russo di Emmanuel Carrère è tra le opere più intime, biografiche e personali dello scrittore, dedicato a sua madre Hélène Carrère d’Encausse, scomparsa lo scorso agosto. Torna in libreria in edizione tascabile grazie ad Adelphi, che detiene i diritti dell’autore per l’Italia.  

Mamma, ti scrivo questa lettera da Kotel’nič, dove sono tornato per mettere la parola fine a questo libro. Ieri ho trascorso tutto il giorno con Saša (…). Ti ha visto alla televisione russa, ti ammira, gli piacerebbe parlare con te delle sorti del suo paese. Vorrebbe il tuo numero di telefono come un tempo avrebbe voluto quello di Juliette Binoche o di Sophie Marceau (…). Sai, c’è una cosa che mi domando spesso. Le tue giornate sono pienissime, dalle sette del mattino a mezzanotte: appuntamenti, conferenze, viaggi, libri da scrivere e da leggere, nipoti di cui non so come trovi il tempo di occuparti con amore, l’Académie, i ricevimenti, le prime, le cene mondane, e in quest’agenda così fitta mai un solo buco, mai un momento di solitudine o di ripiegamento su te stessa. (…) Ma la sera, quando torni a casa e vai a letto, tra il momento in cui spegni la luce e quello in cui ti addormenti, a cosa pensi? (…) A tuo padre, di cui a volte rileggi le lettere e di cui a volte sogni il ritorno? A tuo figlio, che hai amato così tanto, che ti ha amato così tanto e da cui oggi sei così lontana? Alla bambina che sei stata (…)? Alle cose che hai realizzato? A quelle in cui hai fallito? Forse mi sbaglio, ma credo, mamma, che nei rari momenti in cui sei sola con te stessa tu soffra. E in un certo senso questo mi rassicura.

Queste righe sono state estrapolate da una lettera che Emmanuel Carrère scrisse a sua madre da Kotel’nič, la città in cui è ambientata una parte di Un romanzo russo, e che oggi si trova pubblicata alla fine del libro. L’opera uscì in Francia nel 2007, mentre in Italia arrivò soltanto nel 2018, quando già il nome di Carrère era divenuto famoso. Adelphi è la casa editrice che si occupa di tutte le traduzioni e le edizioni in italiano dei suoi libri, ma questo specifico scritto non è tra i titoli più noti. Eppure è uno dei lavori in cui l’autore francese si mette a nudo maggiormente, raccontando molto di sé e della sua famiglia, nonché del legame ancestrale con la Russia. È anche per questo motivo che consigliamo di leggerlo, specie ora che Adelphi ne ha pubblicato la versione tascabile.

In questo libro, nato senza che Carrère avesse una chiara idea di cosa volesse scrivere, quale fossero il focus e il tema principale, a poco a poco si svelano più storie intrecciate tra loro, unite dalla figura stessa del protagonista/autore. In primo luogo ci sono i suoi viaggi in Russia, in particolare la lunga vicenda di Kotel’nič, cittadina in cui lo scrittore finisce una prima volta per raccogliere informazioni sull’ultimo prigioniero ungherese della Seconda Guerra Mondiale e in seguito attratto da un mondo totalmente diverso da quello lussuoso e intellettuale in cui è abituato a vivere a Parigi. D’altronde, la Russia è la terra con cui Carrère ha un legame di sangue, in quanto la nonna era di origine russo-tedesca, peraltro aristocratica. È però sua madre Hélène Carrère d’Encausse che gli trasmette il grande amore per la tradizione, la lingua, la storia e la magnificenza della Russia, tanto che poi per tutta la vita il figlio ne parlerà nei suoi romanzi, traendo spesso ispirazione dalle conversazioni ascoltate tra le mura domestiche. Hélène è una delle due protagoniste femminili di questo libro, che proprio a lei è dedicato. La famiglia Carrère nasconde infatti un segreto, riguardante la scomparsa del nonno da parte materna dopo la fine della guerra, probabilmente anche a causa delle sue simpatie per i regimi totalitari: un giorno uscì di casa e non fece più ritorno, lasciando la moglie e i due figli ad aspettarlo per sempre, con l’intima speranza di un miracolo. Con il passare del tempo, tuttavia, Hélène dovette accettare l’idea che suo padre fosse molto probabilmente morto, sebbene non diede mai libero sfogo al suo dolore. Ecco perché nella lettera che abbiamo riportato all’inizio il figlio la immagina sofferente nei momenti di veglia, quando toglie la maschera della donna forte di successo.

Un romanzo russo
 

È proprio della nostra sofferenza che volevo parlarti in questa lettera. (…) Penso che tu abbia dovuto affrontare prestissimo una sofferenza spaventosa e che questa sofferenza non fosse legata solo alla tragica scomparsa di tuo padre ma anche a tutto ciò che lui era, al tormento, alla cupezza, all’orrore per la vita che volle condividere con te. L’uomo che amavi di più al mondo si considerava irrimediabilmente tarato – una cosa che, a volte, anch’io penso di me stesso. Hai dovuto portare questo peso. E hai deciso, altrettanto presto, di negare la sofferenza. Non soltanto di nasconderla, applicando quella che tu stessa dichiari essere la massima della tua vita, never complain, never explain: no, di negarla. Hai deciso che non doveva esistere. Era una scelta eroica. Trovo che tu sia stata eroica. (…) Hai seguito la tua strada senza mai esitare, con una determinazione e un coraggio che mi lasciano senza parole, ma su questa strada per forza di cose hai fatto molti danni. Hai proibito a te stessa di soffrire, ma lo hai proibito anche a chi ti stava vicino. Tuo padre ha sofferto come un cane, e il silenzio che è sceso su questa sofferenza, più ancora che sulla sua scomparsa, ha fatto di lui un fantasma, un fantasma che ossessiona le nostre vite. Tuo fratello Nicolas soffre. Mio padre, tuo marito, soffre. Io soffro, e soffrono anche le mie sorelle, benché non mi arroghi il diritto di parlare per loro. Tu non ci hai negati, no, ci hai amati, hai fatto di tutto per proteggerci, ma ci hai negato il diritto di soffrire e ora sei circondata dalla nostra sofferenza: era necessario che un giorno qualcuno se l’accollasse e le desse voce.

Un romanzo russo rappresenta proprio questa voce e la sofferenza è il fil rouge che lega i vari personaggi di questo grande affresco esteso dalla Francia alla Russia. Essa è il nucleo della storia di Toma Andràs, il prigioniero ungherese su cui Carrère va a svolgere alcune ricerche; è il substrato dell’intera cittadina di Kotel’nič, dove la vita è dura e non ci sono grandi speranze per il futuro; è il volto nascosto dei personaggi qui incontrati dallo scrittore, nello specifico del capo dell’FSB Saša e della sua amante Anja, la cui fine tragica costituisce uno dei momenti culminanti del dolore all’interno del libro; è anche ciò che impedisce il progredire della storia d’amore tra Emmanuel e Sophie, la ragazza con la quale una parte di lui vorrebbe costruire un futuro, mentre l’altra parte – quella, potremmo dire, radical chic – non la ritiene mai abbastanza; è poi il tarlo che ha disintegrato la vita di suo nonno e l’insetto nascosto nelle cavità sotterranee della sua famiglia, la madre in particolare, che la cancella e la nega senza riuscire a liberarsene mai; infine, è l’interiorità stessa dell’autore, che percepisce il suo perenne stato di sofferenza – ormai divenuto un più ampio male di vivere – come una condanna di cui può sì scrivere, ma dalla quale non potrà mai fuggire.

Nonostante ciò, il libro non scade nell’autocompatimento o nell’eccessiva malinconia; pur non essendo di certo una lettura semplice e leggera, esso è estremamente ricco: amore, esperienze di vita, incontri, avventure, viaggi, conversazioni letterarie, scoperte, racconti surreali. Cosicché il lettore non sente mai davvero il peso di questa aura negativa da cui lo scritto scaturisce; al contrario, si sente attratto dai vari mondi che Carrère descrive, affezionandosi tanto ad Anja quanto a Sophie. Quest’ultima costituisce l’altra grande protagonista femminile del romanzo, poiché la sua relazione con Emmanuel è non soltanto complicata e altalenante, ma da un certo punto in poi così piena di colpi di scena ed eventi inaspettati da sembrare scritta appositamente per essere narrata (si suppone, infatti, che buona parte di questo libro sia di natura autobiografica). Sophie è la bellezza, la purezza, l’allegria, ma anche l’inadeguatezza, la donna che arriva da una classe sociale inferiore a quella di Carrère e di conseguenza si sente sempre inappropriata, un po’ perché effettivamente lo è, un po’ perché il suo compagno la vede così. Ciò non rende meno vero il profondo amore tra i due, come d’altra parte accade tra madre e figlio, che in età adulta difficilmente riescono ad avere un rapporto sereno.

Un romanzo russo risulta tanto più attuale in quanto proprio lo scorso agosto è venuta a mancare Hélène Carrère d’Encausse, questa straordinaria donna che fu una politica, una scrittrice, un’intellettuale, segretaria dell’Académie française fino alla morte, nonché un’apprezzata storica, specializzata sulla Russia. A lei il figlio Emmanuel guardava con un misto di orgoglio e di distacco, in una continua lotta per essere all’altezza delle sue aspettative, ma allo stesso tempo per liberarsi della sua influenza e poter finalmente trovare sé stesso. Questo romanzo, che racconta la storia della famiglia Carrère andando in parte contro il volere della madre, nacque insieme a un documentario e rappresenta in qualche modo un regalo per Hélène; allo stesso tempo è anche un affrancamento del figlio nei confronti del potere genitoriale. Dunque si tratta di un libro che – soprattutto per chi ama l’autore – vale la pena di leggere, in primis per meglio conoscerlo come uomo, come padre, come figlio e come compagno, nonché per avvicinarsi ancora una volta alla Russia, in questo caso quella sperimentata da Carrère in prima persona: la grande terra dei sobborghi, della fame, della disperazione, dei crimini e degli assassini, ma anche della disperazione che talvolta si trasforma in amicizia semplice e genuina, in solidarietà sincera, in forza e determinazione a rinascere.