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Ad blocker, serve un nuovo modello pubblicitario

Ad blocking, a che punto siamo? Se l'è chiesto GroupM, nella ricerca Comunicare nell'era dell'ad blocking. La risposta è un mercato in espansione, che toglie risorse al web. Ma non si tratta di un veto ma una richiesta di un nuovo modello pubblicitario.

“Le risposte che la nostra industry ha dato ai clienti sono state finora soluzioni tattiche o dichiarazioni di principio”, afferma Federica Setti, Chief Research Officer GroupM.

Il lavoro ha analizzato anzitutto le conseguenze che la riduzione delle inventory causata dagli ad blocker - e la conseguente riduzione dell’efficacia pubblicitaria – può avere sui diversi attori della filiera pubblicitaria: publisher, advertiser e agenzie media.

Il fenomeno, impercettibile nel breve ma rilevante sul medio-lungo periodo, procede in modo lento ma continuo dall’estate 2012, quando le ricerche e le installazioni dei primi software di Ad Blocking escono dalle cerchie ristrette di esperti e iniziano a diffondersi in rete. Fino ad arrivare ad oggi quando, secondo i dati GroupM, le persone che dichiarano di avere installato un Ad Blocker raggiungono l’entità di 6,9 milioni, pari al 27% della popolazione italiana adulta online. Le persone consapevoli dell’argomento sono il 55%. Al momento il fenomeno non incide ancora allo stesso modo su tutte le fasce di popolazione: le installazioni di questi software sono più numerose sulle età centrali ed adulte (25-44 anni) ma raggiungono, com’è facile immaginare, la massima concentrazione sugli under 25, con una maggiore accentuazione delle fasce ancora più giovani per le donne.

Dal punto di vista tecnico gli AdBlocker offrono diversi benefici a chi li installa: consentono di non essere tracciati, di risparmiare banda, aumentano lo “spazio utile” sui device mobili, incrementando la velocità di caricamento della pagina, allungando la durata della batteria

Per comprendere le motivazioni che portano all’installazione di un AdBlocker GroupM ha indagato in profondità il punto di vista dei destinatari finali della comunicazione. In particolare, è stato analizzato il cosiddetto ‘patto pubblicitario’, ovvero quell’accordo implicito tra audience ed editori/inserzionisti che offre ai primi contenuti gratuiti in cambio di attenzione per i messaggi pubblicitari.

“E la buona notizia - sottolinea Setti - è che questo patto viene ancora riconosciuto dalla maggior parte delle persone”.

Il 47% di chi naviga è consapevole del fatto che la maggior parte dei contenuti letti su Internet (news, intrattenimento, sport, cucina, etc) possono essere pubblicati grazie ai ricavi generati dalla pubblicità, contro un 34% di persone che capisce la necessità degli annunci pubblicitari pur restandone infastidita e un 7% di persone ideologicamente contrarie alla pubblicità. E solo una minoranza di chi ha installato un Ad Blocker è stato spinto da motivi “ideologici”, perché preoccupato dalla violazione della privacy (25%) o perché timoroso della propria sicurezza (19%), mentre il 41% l’ha fatto anche per una ragione pratica e funzionale, ovvero perché la pubblicità rallenta i tempi di caricamento dei siti.

Ma il fatto che questo fenomeno possa essere arginato o addirittura recuperato è dimostrato dalle restanti motivazioni di installazione, che dipendono da temi strettamente legati all’ottimizzazione della pianificazione pubblicitaria: il 56% è stato mosso, infatti, dal bisogno di contenere l’invasività di alcuni formati pubblicitari, il 29% perché vede sempre le stesse pubblicità, il 26% perché infastidito da pubblicità non in linea con i propri interessi e il 20% perché esposto a pubblicità non pertinenti con il contenuto dei siti che stava navigando.

In sintesi, le persone che hanno installato un Ad Blocker non sono contrarie a priori alla pubblicità ma stanno suggerendo un modello pubblicitario coerente con i benefici più rilevanti della rete: esperienza di navigazione facilitata, contenuti personalizzati, riduzione del rumore di fondo.

“Già da qualche anno – precisa Setti- GroupM pianifica campagne pubblicitarie indirizzate ad audience mirate e altamente profilate grazie a dati che segmentano i consumatori in base ai propri bisogni e interessi, controllando il numero di esposizioni con le piattaforme di programmatic buying, in contesti editoriali coerenti con il messaggio e con formati pubblicitari che non interrompono la navigazione. Gli strumenti per arginare la diffusione degli Ad Blocker ci sono già e possono aiutare editori e agenzie media a recuperare e rafforzare il patto pubblicitario con le audience; si tratta solo di rendere queste soluzioni comprensibili al di là dei tecnicismi e di facilitare la diffusione di strumenti e tecniche di planning più innovative presso le aziende”.

La ricerca si chiude, infine, con un’analisi sui formati pubblicitari. Dopo aver indagato l’anno scorso con la ricerca AdvFactor il ruolo dei formati cross-mediali nel processo di acquisto, GroupM approfondisce in questa occasione il livello di ricordo e il livello di accettazione dei principali formati pubblicitari pianificati on-line. Il risultato di questo studio è una matrice che identifica quali sono i formati che rendono l’esperienza di fruizione pubblicitaria più fluida e meno disturbante, e consentono di disegnare delle pianificazioni che ottimizzano le condizioni di ricezione del messaggio, minimizzando allo stesso tempo le motivazioni che potrebbero incentivare comportamenti di contrasto o di elusione della pubblicità on-line.

“Quanto emerge in questo progetto – conclude Massimo Beduschi – rappresenta, dopo la recente presentazione al mercato di Advanced Consumer Planning (ACP), un passo ulteriore verso la leadership di GroupM e delle sue agenzie sul mercato. In linea con il nostro posizionamento sempre più centrato su quattro aree chiave: Tecnologia, Dati, Content e Sviluppo Prodotto”.