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Bill Emmott, direttore dell'Economist, attacca i populisti.

Giuseppe Vatinno

L' Economist è della famiglia Agnelli ma si scaglia contro i soliti "poteri forti", cioè loro stessi.

Sul supplemento di oggi del Corriere della Sera  “Sette”, c’è un editoriale di Bill Emmott direttore di The Economist dal titolo “Preferite una società aperta o chiusa?”, che viene ripreso anche in prima copertina.

The Economist è un settimanale inglese posseduto, giova ricordarlo, dalla Exor di proprietà della famiglia Agnelli, che è noto per una tradizionale avversione all’Italia, sebbene (o forse a causa?) di una proprietà italiana.

E più propriamente proprio Emmott c’ha il pallino della politica italiana. Famosi i suoi attacchi a Berlusconi con ripensamento.

L’articolo è un attacco piuttosto sgangherato ai “populisti di tutto il mondo che sostengono di voler cambiare le cose per il bene della gente. Eppure promuovono un modello di società chiusa che fa il bene dei potenti”.

Questa frase di esordio fa veramente ridere se si pensa che la padrona della rivista che con tanto ardore si lancia contro i “potenti” è della famiglia Agnelli che possiede la Fiat ed un mare di altre aziende, cioè i “potenti per eccellenza” non solo dell’Italia, ma di tutto il mondo.

L’articolo, bilingue perché fa fico l’inglese vicino, si scaglia poi con il solito repertorio contro Donald Trump, i Cinque Stelle (Five Star, sic), la Lega, Vladimir Putin e Viktor Orban (questi ultimi due definiti dittatori) che identifica tout court come i cattivi del mondo contro cui combattere.

Peccato che poco tempo fa Emmott si era schierato pro Di Maio e con rara coerenza fa un bel doppio salto carpiato e voilà!

https://www.vanityfair.it/news/politica/2018/01/06/bill-emmott-ma-berlusconi-preferisco-di-maio

Emmott ce l’ha contro il “potere corporativo e gli interessi egoistici di oligarchi e plutocrati. Se vogliamo dare potere ai cittadini dobbiamo sfidare questi centri di potere” e qui, a quanto pare, abbiamo una versione rivoluzionaria della famiglia Agnelli che, vicino al popolo, sfida coraggiosamente i “poteri forti”, cioè loro stessi.

Sì, sembra una barzelletta, ma è proprio quello che c’è scritto nell’articolo del settimanale "Sette" diretto da Beppe Severgnini che della società aperta è integerrimo propalatore da anni (almeno fin quando ha preso la tranvata della Brexit nella sua adorata Inghilterra in cui aveva casa).

Sulla crisi globale del 2008 però, il nostro glissa, accennando solo di sfuggita che è stata “innescata da Wall Street, ma con molti colpevoli anche a Londra”. Vivaddio che lo riconosce che la più grande crisi mondiale dal 1929 è stata frutto proprio di quella società aperta, liberal e plutocratica che ha rovinato milioni di persone a livello planetario e la cui reazione storico politica è stata appunto quella del populismo.

Continua Emmott, non Carlo Marx, che la nostra società ha perso di vista l’uguaglianza, un concetto per cui naturalmente gli Agnelli hanno combattuto strenuamente in anni di lotta proprio contro i sindacati che chiedevo due lire in più per quegli operai sfruttati dai padroni di Torino.

Come da copione poi, non manca un certo gusto della gogna squadrista tipico del pensiero liberal, concretizzato nell’articolo con stupide vignette sarcastiche contro Donald Trump e Putin.