MediaTech

Coronavirus, perché gli spot pubblicitari sono ormai anacronistici e surreali

Marco Zonetti

Prodotte prima dell'emergenza, le pubblicità ci restituiscono immagini di una quotidianità negataci dall'isolamento a tempo indeterminato

Bolidi che sfrecciano su strade affollate; oceanici ritrovi familiari con amici, parenti in verande assolate a mangiare ogni ben di Dio; assembramenti su spiagge con esaltazione di bibite estive che favoriscono contatti ravvicinati fra sconosciuti, navi da crociera che solcano mari blu, velivoli di compagnie aeree che ammiccano a viaggi intercontinetali, gorilla che ci invitano ad abbracciarci...

In questo strano periodo della nostra vita (e dell'umanità intera), gli spot pubblicitari non sono mai stati più "irreali" e "surreali", né ci hanno mai invitato a una tale "sospensione dell'incredulità". Girati ovviamente prima dell'emergenza, oggi vengono trasmessi in Tv fra un Tg con la conta dei contagiati e dei deceduti e un invito a restare a casa in isolamento. Con in mente la novella di O. Henry Il Dono dei Magi, è come offrire un fermaglio per capelli a chi i capelli non li ha più o una catena per orologio da taschino a chi l'orologio è stato costretto a venderlo. 

Simili a sassolini di "quotidianità" in uno stagno di notizie catastrofiche alle quali assistiamo inchiodati in casa e spesso separati per decreto governativo da compagni di vita, parenti e amici, gli spot pubblicitari - anche quelli più "tecnologici" - appaiono anacronistici, vetusti, passati, oscillando tra il senso di offesa alla brutalità del presente e l'auspicio che si possa, quanto prima, tornare a pensare a rimorchiare sulle spiagge, ai banchetti di famiglia a base di maccheroni, alle gite fuori porta in macchina. Se, prima dell'emergenza, uno spot pubblicitario poteva venderci un sogno di futura prosperità, ora ci vende la misera speranza di una semplice normalità - chissà quando - ritrovata.