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Dario Piana: “Gli spot sono meno memorabili. C'è un problema di cultura creativa”

di Pasquale Diaferia

Il più premiato regista della pubblicità italiana commenta il piccolo caso dello spot Alfa Junior, bello e “sprecato”.

Dario Piana è uno dei più premiati e talentuosi registi pubblicitari italiani, oltre che autore di cinema, illustratore e musicista. Un talento assoluto del mondo della comunicazione nazionale, premiato a livello internazionale nei suoi oltre quarant’anni di lavoro. Ho avuto il privilegio di conoscerlo e lavorare con lui subito dopo il suo primo Leone d'Oro a Cannes , il più importante festival della creatività mondiale, ai tempi di “Silenzio, parla Agnesi”, un piccolo capolavoro di senso, dove la bontà della pasta era rappresentata dalla dimensione audio dello spot, in netto contrasto con tutto il chiasso dei “consigli per gli acquisti” degli anni ’80.

Mi è venuto spontaneo chiamarlo e fargli alcune domande sul tema..

Ciao Dario, cosa pensi dello spot Alfa Junior, di recente messa in onda?

“Bel film, girato negli Stato Uniti da un regista di lingua inglese per un agenzia di Los Angeles. Una bella idea, una citazione cinematografica, con un personaggio carismatico che chiede ai suoi interlocutori di vendergli quella macchina. E se le prime risposte maschili sono convenzionali e prevedibili, è una donna tipicamente italiana che lo provoca, chiedendogli ‘quand’è l’ultima volta che ti sei innamorato? Dovresti provarla…’.

Bello, perché stilisticamente i commercial delle automobili sono tutto uguali, sia come valori cromatici che come rappresentazione dell’auto che corre su strade extraurbane. Questo, finalmente, ha qualcosa di diverso. Mi ha colpito l’idea girata bene: non è il solito giallo e blu, ha i tempi giusti, i primi attori maschili sono perfetti. L’attrice invece mi ha turbato: mi sembra la classica ‘raccomandata’ da fiction italiana. Non capisco, perché ci sono tante attrici brave, non so perché ne abbiano scelta una con un marcato accento romanesco. Forse gli americani non si sono accorti che lei si esprime in modo molto diverso da chi la precede.”

Strano, perché la casa di produzione è italiana.

Però, proprio perché entrambi lo abbiamo notato come spot bello per una marca un tempo italiana, volevo chiederti cosa pensi del fatto che lo spot nel formato lungo, con tutti gli attori era storia completa dopo nemo di una settimana sia in onda solo nel formato breve, credo da 15 secondi, in cui in realtà tutta la parte con l’idea e la recitazione è stata tagliata, privilegiando solo le scene con l’automobile in strada.

“Appunto, è l’autocelebrazione del prodotto, come fanno tutti. Hanno davvero depotenziato l’idea e l’esecuzione. Ma credo che sia un problema tecnico di marketing e centri media, che si concentrano sulla frequenza e l’ottimizzazione dell’investimento, non sull’ efficacia narrazione.

Purtroppo ormai tutto nasce dalla non comunicazione, la pubblicità oggi è fatta a reparti stagni. Da una parte, probabilmente, il problema è che ci sono meno soldi. Pero la programmazione dovrebbe andare insieme alla creatività. Se ci sono le risorse per fare uno spot da 15 secondi, cerchiamo un’idea che funzioni in quel tempo. Perché, se fai un bel 30 ma nessun lo vede, il senso e l’originalità della tua comunicazione si perde nella discrepanza tra creatività e media. Sembra che i creativi facciano lo spot, senza parlare con chi compra gli spazi, che spesso non pensare al senso della campagna.

Nel caso specifico, un pezzo di cinema che è fatto di molte battute, diventa, nel formato breve, uno spot con una battuta quasi incomprensibile.”

Ma tu pensi che questo sia un problema dei manager delle aziende, di quelli dei centri media delle agenzie, o dei creativi?

“Guarda, una volta l’organizzazione delle agenzie era piramidale,. Una volta i creativi si imponevano e facevano cambiare la programmazione.

Pensa a come i creativi di un tempo facevano diventare idee un formato da 5 secondi: ‘Gia fatto’ per Più Indolor, ‘La banana 10 e lode’ per Chiquita.

Oggi agenzie sono dominate da marketing e media. E i Creativi diventano discrepanti.

Mi arrivano progetti da 30 secondi, ma va in onda all’80 per cento con un formato più breve, Ma la versione principe deve essere quella che il pubblico vedrà nel formato più diffuso. Se racconti una storia in 60 secondi, poi il 60 va una volta e poi vedi solo il 15, non si capisce più l’Idea.

E non è difficile farlo. Basta saperlo prima e far lavorare i creativi su un progetto chiaro.

Per esempio recentemente ho girato una serie di spot per Balocco: sono storie belle e brevi, la scrittura è fatta sul formato 15 secondi. Ed è per questo che funzionano.”

Curioso, perché quando ho cominciato a fare questo lavoro, questa era la regola: i creativi sono il motore di questa industria. Adesso, con la scusa della caduta dell’attenzione, domina l’algoritmo.

“Guarda, capisco, perché nessuno si volta più a guardare la pubblicità. Ma una volta gli spot erano più belli dei film. Ormai sembrano tutti uguali: se ti distrai, rischi di perdere la fine di uno e lo confondi con l’inizio di quello dopo.

Pensa che una volta c’erano rubriche sugli spot. La pubblicità faceva costume. Perfino cultura: il cinema dagli anni ’80 si è evoluto perché dalla pubblicità sono arrivati registi di talento: hanno portato ritmo e stile unico, che ancora oggi vincono Oscar e sfondano al botteghino.”

Ma per non sembrare dei nostalgici, troviamo un concetto da proporre alle aziende e alle agenzie.

“Bisogna tornare a fare pubblicità memorabile. Una volta bisognava essere diversi dagli altri. Si privilegiavano le Idee. Si raccontavano storie. Si faceva spettacolo. Stilisticamente, e concettualmente, oggi la pubblicità é tutta uguale.”

Logico, per concludere, che l’attenzione del pubblico sia bassissima. E i risultati commerciali, impalpabili.

Chissà se i creativi digitali vorranno ascoltare i consigli di Dario. Uno che ls Storia di questo mestiere l’ha fatta. E continua a farla.