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Sanremo, ecco chi ha scritto la canzone più bella. Il giudizio dell'esperto

Sanremo, qual è la canzone più bella di quest'anno? Il giudizio dell'esperto Umberto Broccoli

Sono di domino pubblico da qualche giorno i testi dei 30 brani in gara al prossimo Festival di Sanremo. Una sorta di documento del nostro presente in versi e rime che abbiamo invitato a commentare - dividendo le canzoni in gruppi di 6 – uno dei personaggi più trasversalmente apprezzati dal pubblico italiano.

Archeologo, professore universitario, ex Sovrintendente ai Beni Culturali di Roma Capitale, autore e conduttore radiotelevisivo capace di unire formazione accademica e rilettura della lezione dei pensatori dell’antichità con la cultura pop: Umberto Broccoli ha ideato e condotto lo storico programma di Radio Rai ‘Con parole mie’ ed è autore, tra gli altri, del libro “Questa è la storia” (Bompiani, 2019), viaggio in 50 anni di vicende italiane, dal 1938 al 1988, attraverso le canzoni.

Un volume che raccoglie in parte la sua pluriennale esperienza di narratore del nostro Paese sul Corriere della Sera e su Sette, utilizzando la chiave delle canzoni come memoria collettiva e privata dei nodi principali della storia nazionale.

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Attualmente nel cast del rotocalco quotidiano di Rai 1 ‘La volta buona’ ed in onda ogni pomeriggio su Rai Radio 1 con “Cento storie per un secolo di radio”, Broccoli è anche impegnato come consulente per il film che Pupi Avati sta realizzando sul centenario della radio, che cadrà il prossimo 6 ottobre, ed interviene abitualmente nel dibattito culturale sui periodici ‘Gnosis’ e ‘Rivista Militare’.

Partiamo in rigoroso ordine alfabetico con un commento al testo di ‘Fino a qui’ di Alessandra Amoroso (di A. Amoroso - J. Ettorre - F. Abbate - F. Clemente - A. F. Merli - J.Ettorre - F. Abbate - P. Pasini - F. Clemente - A. F. MGBerli).

Fino agli anni ‘80 i testi dalle canzoni erano concepiti come costruzione di una storia. Da ‘Vola colomba’ a ‘Perdere l’amore’, passando per ‘In cerca di te’, la narrazione prevedeva un inizio, uno svolgimento ed una fine. Logica conseguenza del fatto che la tradizione classica italiana trae origine dalla struttura dell’opera, del melodramma e della canzone napoletana. I testi di oggi seguono invece spesso schemi diversi, in cui talvolta la dimensione del facile sostituisce quella del semplice.

Fino a qui’ racconta di una caduta ed una delusione, citando anche Vasco Rossi. Non è semplice mettere a confronto epoche diverse, ma se ad esempio paragono questa delusione e questo dolore a quelli che nel 1968 Sergio Endrigo e Roberto Carlos esprimevano in ‘Canzone per te’ rilevo nel testo di quest’ultima soluzione nell’uso dei termini che evidenziano un maggiore sottotesto di pensiero e riflessione, ed una conseguente messa in opera di essi. Senza nulla voler togliere, leggendo i versi di ‘Fino a qui’ in qualche passaggio rischio di perdermi. Ad esempio, di fronte a “Un’altra notte di pioggia scivola come una goccia/ non sanno che sto male” mi chiedo: ma chi non lo sa, le gocce, o le persone? Oppure, premesso che nell’incipit del brano si specifica che sono le 2.43 del mattino, al verso: “Fuori fa un freddo cane/ io che da sola non so stare” mi sorge la domanda; a quell’ora come aspettarsi che faccia caldo?

Passiamo a ‘Vai’ di Alfa (di A. De Filippi - I. B. Scott - M. A. Jackson - A. De Filippi).

Leggo che è anche un rap, quindi passibile di licenze poetiche, ma noto che comincia così: ‘Mi han detto che il destino te lo crei soltanto tu”. E mi domando se fosse indispensabile l’uso di una formula grammaticale non corretta, pur se evidentemente mirata a rafforzare. Molto apprezzabile la successiva citazione del mito di Icaro: “Mi han detto punta al sole, ma non come Icaro/ che il mondo è troppo grande per pensare in piccolo”. E’ un bel rimando, che però si infrange sul verso seguente: “Ma se morirò da giovane qualcosa avrò da scrivere”. Senza dubbio anche qui siamo di fronte a una licenza, ma che pone un quesito metafisico: da morto, come farà Alfa a scrivere? In ogni caso la sua ‘Vai’ segue l’anelito di andare in alto, come ci suggeriscono i versi: “Punterò al cielo aperto e vedo dove mi porta”.

Angelina Mago propone ‘La noia’ (di Madame - A. Mango - D. Faini - Madame - A. Mango).

Figlia di un poeta della canzone, la cui voce aveva il potere di rappresentare il Mediterraneo, ne ‘La noia’ Angelina Mango racconta la sua generazione in modo interessante: ‘Quanti disegni ho fatto rimango qui e li guardo/ nessuno prende vita questa pagina è pigra’. Gli autori, tra cui Madame, si sono messi di fronte al foglio con coraggio affrontando un tema, quella della noia, che fa venire i brividi, dato che riporta alla mente gli Esistenzialisti, Califano e addirittura Moravia. Si percepisce un tensione all’originalità, che si innesta sulla tendenza cui accennavo prima: più che raccontare storie, oggi i testi delle canzoni italiane sono assimilabili a graffi esistenziali sulla propria stessa pelle.

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Se Califano dipingeva un percorso attivo verso la noia, che seguiva alla fatica della conquista dell’oggetto amato sorprendendolo come un’epifania dolorosa, la noia di Mango e Madame appare preesistente. Una condizione generazionale di senso di non risolutezza nella vita. L’arditezza del paragone di Alfa con Icaro qui viene superata da una comparazione più estrema: “Non ci resta che ridere in queste notti bruciate/ Una corona di spine sarà il dress-code della mia festa”, versi che seguono alla frase “Non c’è croce più grande”. Si parla poi di “Cumbia della noia”, sentimento che viene dunque trasformato in ballo nel tentativo di esorcizzarlo.

Io, che a settembre compirò 70 anni, fatico a condividere a questo sentire: ho sempre vissuto l’annoiarsi, nel senso di non avere impegni stringenti, come un privilegio. Mi pare che Mango e Madame abbiamo voluto apporre un segnalibro esistenziale ad un tema all’ordine del giorno, e vissuto come problema, soprattutto nel loro universo d’età.

Annalisa è in gara con ‘Sinceramente’ (di D. Simonetta - P. Antonacci - A. Scarrone - S. Tognini - D. Simonetta - P. Antonacci - A. Scarrone).

In quanto ligure, Annalisa è geograficamente affine ad una scuola, quella genovese, che ha insegnato l’arte della canzone al mondo. Sebbene anche il testo del suo pezzo si innesti in una dialettica più vicina a generazioni giovani il suo incipit mi coinvolge: ‘Mi sveglio ed e passata solo un’ora non mi addormenterò/ ancora otto lune nere e tu la nona’. In quanto ideatore del programma tv La Zingara e del gioco con la carta della Luna Nera (peraltro già utilizzata in canzone da Frankie Hi-Nrg MC in ‘Quelli che ben pensano’), non potrebbe essere altrimenti.

Interessante il gioco delle ripetizioni: la parola “Quando” ribadita 4 volte di seguito non può non far venire in mente Tony Renis, mentre il verso: ‘Sinceramente, sinceramente, sinceramente, sinceramente tua’ mi riporta ad una canzone dal titolo ‘Tua’ che Julia De Palma cantò al Festival del ’59, creando un epocale scandalo perché nella sua interpretazione si accarezzava le braccia nude. Forse non consapevolmente, Annalisa pare dunque affondare la sua penna nel solco della grande tradizione della canzone italiana. Tuttavia, dopo il salto nel passato torna subito moderna e scrive: “Appena mi riprendo ti lascio un messaggio.” Per terminare infine il pezzo con le parole: “Sinceramente tua”, dal tono invece molto epistolare.

Big Mama presenta al Festival ‘La rabbia non ti basta’ (di M. L. Lazzerini - M. Mammone - E. Botta - E. Brun).

Rilevato che, come le precedenti, anche questa canzone non è costruita in forma di storia, qui abbiamo senza dubbio un messaggio positivo, con un testo in cui si fa riferimento a un passato di violenza e crisi ma guardando all’oggi si afferma anche che la rabbia non basta. C’è quindi un’autocritica, che in qualche modo rimanda la mia memoria al massimo esempio di canzone sul tema: ‘Auto Da Fè’ del grande amico Franco Battiato.

Nonché al Vasco Rossi de ‘Il mondo che vorrei’, profondo rimprovero datato 2008 che il Blasco rivolge al se stesso di prima, quello dalla vita spericolata. In particolare mi riferisco al verso: “Non si può fare quello che si vuole non si può solo spingere sull’acceleratore”. Big Mama rilegge insomma il passato in termini di positività, lasciando trasparire il tratto autobiografico (“Guarda me adesso sono un’altra la rabbia non ti basta”). L’identificazione personale riguarda d’altronde il canto in ogni sua forma. E’ rintracciabile in Virgilio nei primi versi dell’Eneide come nel Ranieri di ‘Perdere l’amore’.

I Bnkr 44 interpretano ‘Governo punk’ (di D. Lombardi - D. Caponi - A. Locci - P. Serafini - M. Vittiglio - J. Ettorre - D. Lombardi - J. Adamo).

Incuriosisce che nel testo siano citati i Blur ed i Queen, ma il verso: “Ti pettini i capelli con una calibro 9” suscita sgomento. C’è una massima teatrale secondo cui se in scena compare un fucile prima o poi dovrà sparare: forse è esagerata, ma quello presente resta un frangente storico non adatto a scherzare con la pistole neanche a parole. “Dammi un po’ di te, un pezzo dei Blur, un locale da spaccare”: anche questo passaggio risulta troppo forte, per quanto l’intenzione sia ovviamente metaforica.

Come pure: “Stamattina mi lavo i denti col gin” Torniamo alla citazione dei Queen (“Metti un altro film, un pezzo dei Queen”): si fa riferimento ad un gruppo che ha rappresentato una svolta nella nostra musica attraverso la voce inimitabile di Mercury e testi che contenevano provocazioni legate al tempo in cui si viveva. Who wants to live forever e show must go on indicavano la contraddizione tra desiderio di vivere per sempre e morte in agguato.

Messaggi esistenziali, che pure abbiamo rintracciato nei pezzi di Annalisa e Big Mama, con anche un anelito a trovare soluzione ai dilemmi. In conclusione mi pare che l’intenzione provocatoria dei Bukr 44 potesse trovare altre forme: l’eccesso non identifica per forza l’artista. Chi come me ha vissuto gli anni ‘70 conosce inoltre il peso di alcuni riferimenti. Non è questione di moralismo, solo di avere una morale.






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