Medicina
Alzheimer, test precoce su olfatto ed occhi
Più imminente l'adozione di un test per predire l'Alzheimer attraverso l'esame della retina e la valutazione dell'olfatto
di Paola Serristori
Più imminente l'adozione di un test per predire l'Alzheimer attraverso l'esame della retina e la valutazione dell'olfatto. L'intuizione sul danneggiamento di questi organi sensoriali nella primissima fase del declino cognitivo era stata annunciata l'anno scorso durante Alzheimer's Association International Conference (AAIC 2015) a Washington. Quattro nuovi studi presentati ad AAIC 2016, a Toronto, confermano la validità dello screening. La scoperta è destinata a rivoluzionare il metodo di diagnosi precoce. Attualmente si ricorre all'esame Pet per vedere i depositi anomali della proteina Beta-amiloide nel cervello, ed al prelievo di liquido cerebrospinale (CSF), attraverso la puntura lombare. Essi sono i biomarcatori ufficiali della demenza. La ricerca scientifica sta inoltre perfezionando la neuro-immagine di tau, l'altra proteina coinvolta nell'esordio del morbo di Alzheimer.
Due lavori scientifici hanno confrontato le difficoltà nell'identificazione degli odori coi risultati di neuro-immagine su amiloide e spessore della corteccia entorinale (l'assottigliamento è associato a demenza). Il team di ricercatori di Columbia University Medical Center ha esaminato col test UPSIT, che propone quaranta quesiti sugli odori, 397 anziani (età media, 80 anni), un gruppo multietnico a Nord-Manhattan, tutti non dementi all'inizio dello studio. Durante i controlli, 50 hanno sviluppato demenza (per la precisione, 49 casi di Alzheimer), un altro 19.8% ha subito declino cognitivo. Sia il risultato del test con minore identificazione di odori che risonanza magnetica nucleare (MRI) sulla corteccia interinale rivelavano i soggetti affetti da demenza. Analogamente un minore punteggio nel test sugli odori, ma senza l'assottigliamento della corteccia cerebrale nel referto di neuro-immagine, indicava coloro che hanno in seguito sofferto di declino cognitivo. A commento della ricerca, il dottor Seonjoo Lee ha concluso che l'alterazione della percezione degli odori si verifica prima dell'assottigliamento della corteccia cerebrale e dunque il test dell'olfatto fornisce una diagnosi ancora più precoce della malattia in corso.
Il secondo studio condotto alla Columbia University, utilizzando il test sugli odori UPSIT,
presentato ad AAIC 2016 da William Kreisl, su 81 anziani (età media, 68 anni, in prevalenza donne, 58%, di cui 55 casi di lieve decadimento cognitivo, MCI), che si erano sottoposti a PET e puntura lombare per il prelievo del liquido cerebrospinale che circonda il cervello, ha dimostrato che coloro a cui era stato assegnato un punteggio minore di 35 nel test hanno subito un declino cognitivo (misurato nella memoria logica, riproduzione visiva, associazione). Va precisato che da solo il test non era stato sufficiente a far emergere il deficit cognitivo del 67% dei partecipanti, com'è emerso dall'esame su amiloide, e questo margine di errore è stato spiegato col ruolo della “riserva cognitiva”, vale a dire soprattutto il livello di istruzione. Ne consegue che la valutazione dev'essere sempre molto attenta e, quando necessario, supportata da altri esami che confermino o smentiscano la diagnosi.
Nell'indagine sui segni della demenza negli occhi, da Londra, Moorfields Eye Hospital, UCL Institute of Ophthalmology, il dottor Fang Ko ha portato i risultati dello studio condotto in collaborazione con University of Oxford e Topcon Advanced Biomedical Imaging Laboratory in Oakland, New Jersey. La retina è composta da una serie di strati con ruoli differenti. Il primo strato incontrato dalla luce è lo strato delle fibre nervose, formato dall'espansione delle fibre del nervo ottico, che trasmette l'informazione visuale dalla retina al cervello. Lo strato di fibre nervose retiniche si assottiglia nel corso dell'invecchiamento. I 33.068 partecipanti (tra i 40 e 69 anni) sono stati sottoposti a tomografia a coerenza ottica, valutazione cognitiva, questionari. Lo strato di fibre nervose della retina era più sottile (1 micrometro, ossia un millesimo di millimetro) negli individui con punteggi negativi nei test cognitivi (velocità di risposta, abbinamenti, ragionamenti numerici e verbali).
I depositi della proteina amiloide nella retina sono stati misurati in un articolato studio post-mortem su esseri umani ed in vivo su cani, a cui hanno preso parte University of Waterloo, Ontario, Canada, University of Rochester, University of British Columbia, Massachusetts General Hospital, Vivocore Inc. e Intervivo Solutions. Il professore Melanie Campbell ha precisato che sono stati analizzati 22 casi di Alzheimer e 22 di controllo negli uomini e 6 casi di malattia cognitiva e 7 negativi nei cani. La sindrome della disfunzione cognitiva nei cani è simile ai cambiamenti osservati nei cervelli umani ammalati di Alzheimer ed altrettanto simili sono i depositi di amiloide nella retina. Un microscopio polarizzato ha permesso di vedere gli accumuli della proteina tossica nella parte anteriore della fibra nervosa della retina. “La tecnica è non invasiva - ha sottolineato Campbell - e permetter di visualizzare amiloide nella retina all'esordio della demenza.”