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Medicina
Epilessia: FIE e Sandoz uniscono le forze per combattere lo stigma

Quando si parla di salute, medicina e malattie, come affaritaliani.it ha scelto di fare ormai da tempo, ci si assume una grande responsabilità.

Se non si è capaci di utilizzare il giusto linguaggio, si corre il rischio di fallire nell’obiettivo della divulgazione, che è uno dei più difficili in questo campo, ma soprattutto ci si espone alla possibilità di causare involontariamente dei danni alle persone di cui ci occupiamo.

È il caso, ad esempio, dell’epilessia, una malattia che esiste da circa 4.000 anni (“Ne soffrivano anche Giulio Cesare, Fëdor Dostoevskij e Nicolò Paganini”, spiega Rosa Cervellone, Presidente della Federazione Italiana Epilessie) ma sulla quale ancora persistono pesanti pregiudizi, che possono causare un vero e proprio stigma nei confronti di chi ne soffre.

È stato dedicato proprio a questo argomento il media tutorial organizzato oggi dalla FIE a Milano, per condividere con i giornalisti riflessioni, buone pratiche ed esami di situazioni critiche riguardanti proprio il non sempre facile rapporto tra comunicazione e malattia.

A introdurre il tema è stato un giornalista molto esperto di questo settore: Claudio Arrigoni, già direttore di Tele+, SkySport, GiocoCalcio e GazzettaTv, ma soprattutto da sempre appassionato cultore degli sport paralimpici, dei quali ha seguito 11 edizioni dei Giochi Olimpici.

La parola è poi passata a Rosa Cervellione, che si è soffermata in particolare sul segno di vergogna che accomuna diverse famiglie nelle quali (come accaduto anche alla sua) c’è un bambino o comunque un membro che soffre di epilessia. La FIE ha quindi rivolto il suo appello ai media e alle Istituzioni affinché utilizzino un linguaggio nuovo. Un linguaggio che permetta alle persone con epilessia di raccontare la realtà nella quale vivono che, come accade per tutte le malattie, è fatta di sofferenza, ma anche di energie positive, di impegno, di ottimismo e di molto altro ancora.

“Del resto – ha concluso la Presidente -  le più grandi rivoluzioni sociali e culturali hanno avuto nelle parole i loro segni di riconoscimento: non si è ancora spento l’eco di Yes, We Can che ha sorretto un evento epocale, fino a poco tempo fa inimmaginabile. La FIE crede fortemente che attraverso l’adozione di un linguaggio nuovo possa essere cambiato il destino di un’intera comunità e di questo linguaggio intende farsi promotrice.”

Utilizzare un linguaggio corretto, ancora di più quando si comunica sulle cosiddette “categorie deboli”, cioè tutte le categorie di persone o gruppi di persone a rischio di discriminazione, risulta di fondamentale importanza. “Gli anglosassoni usano la definizione people-first language, il linguaggio che mette la persona in primo piano”, ha spiegato Arrigoni. “Questa è una delle indicazioni fondamentali che mostra come un linguaggio corretto veda la persona nella sua interezza, non soltanto con una sua condizione. E ancora il termine vittima risulta fortemente negativo. Le persone con epilessia non sono vittime poiché grazie alle terapie oggi disponibili possono condurre una vita normale. Inoltre, errore comune è quello di usare l’espressione affetto da in quanto l’epilessia porta ad una condizione che può essere anche temporanea”.

 “Si stima che nei Paesi industrializzati fino a 1 soggetto su 100 abbia una diagnosi di epilessia – ha evidenziato Carlo Andrea Galimberti, Centro per la Diagnosi e Cura dell’Epilessia, IRCCS Istituto Neurologico C. Mondino, Pavia -. Le fasce di età con maggiore incidenza di nuove diagnosi sono l’infanzia-adolescenza e, all’estremo opposto, l’età senile. Nel caso dei bambini e dei ragazzi, gli atteggiamenti spesso iperprotettivi dei genitori, una conoscenza in generale limitata dell’epilessia da parte degli insegnanti, una non corretta informazione tra i coetanei, possono ostacolare un adeguato inserimento scolastico con conseguenti problemi per l’identità sociale del bambino. Lo sport e l’attività fisica, talvolta erroneamente percepiti come un pericolo per le persone con epilessia, hanno invece effetti positivi sulla salute, oltre a rappresentare una circostanza favorevole di espressione, rafforzamento dell’autostima e aggregazione. Naturalmente l’idoneità alla pratica di talune attività sportive deve essere oggetto di valutazione medica specialistica, con stima nel singolo caso dei rischi relativi all’eventuale occorrenza di crisi”.

Sono ancora molte le persone che ritengono erroneamente che l’epilessia sia una malattia rara, oppure una malattia mentale con scarse possibilità di trattamento. E ancora che durante una crisi epilettica si diventi violenti, o che non si possa guidare, fare sport e, nel caso della donna, che questa abbia difficoltà a concepire o che le venga vietato di allattare. È noto che circa il 30% di donne con crisi non ancora controllate presenta un miglioramento durante la gravidanza. Risulta comunque fortemente consigliabile pianificare la propria gravidanza per razionalizzare e semplificare la terapia. Inoltre, di fondamentale importanza il monitoraggio costante con piena collaborazione tra ginecologo ed epilettologo.

Numerosi, dunque, i pregiudizi e, più in generale, gli stereotipi culturali che si trovano frequentemente ad affrontare le persone con epilessia. A contribuire all’eliminazione di stereotipi e pregiudizi, dunque, un linguaggio corretto che faccia in modo che persone con epilessia non siano escluse per una condizione e siano sempre più risorsa per la comunità, anche di quella lavorativa.

L’epilessia di per sé non impedisce, infatti, il normale svolgimento  dell’attività  lavorativa. Il datore di lavoro spesso solleva difficoltà all’inserimento occupazionale di persone con epilessia, nell’intento di prevenire nella propria azienda le possibili complicazioni di varia natura di cui, erroneamente, ritiene possa essere  fonte un dipendente con epilessia, malattia  la cui conoscenza è di solito molto superficiale.

“Iniziative come quelle di oggi - ha concluso Paolo Cervellati, Medical Affairs Manager Sandoz S.p.A. - consentono di toccare con mano non solo gli aspetti clinici dell’epilessia, ma anche e soprattutto quelli socio-culturali che purtroppo, ancora oggi, non fanno che alimentare i pregiudizi e lo stigma di una sindrome neurologica come questa. Sandoz è da sempre impegnata in progetti volti a migliorare la qualità di vita dei propri pazienti che solo nel 2016 sono stati più di 500 milioni in tutto il mondo. Oggi annunciamo il nostro ingresso anche nel campo dell’epilessia grazie all’acquisizione di molecole innovative che consentono alle persone affette da questa sindrome neurologica di poter avere un futuro migliore”.

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