Medicina
Mattia, il "paziente-1": "Il Covid come un film, mia figlia il lieto fine"
Il primo paziente di Codogno parla della morte del padre e della nascita di Giulia: "ll Coronavirus mi ha insegnato a vivere come se fosse l'ultimo giorno"
“Penso che sia stato più di un film quello che è successo. La mia malattia, la mia guarigione, il fatto che sia mia madre che mio padre che Valentina si siano ammalati, mia madre e Valentina sono guarite, mio papà non ce l’ha fatta. E poi la nascita di Giulia, tutto concentrato in un mese e mezzo scarso, è una cosa da film, forse anche di più di un film. Però il lieto fine con la nascita di Giulia c’è. E tutto il resto l’ho voluto mettere in secondo piano”.
Mattia Maestri, il "paziente 1" di Codogno ha raccontato la sua esperienza in un'intervista a Sky TG24, che la manderà in onda in versione integrale domani, sabato 6 giugno, alle 14.30.
“Ho scoperto di essere il paziente 1 solo una volta che ho preso in mano il mio smartphone. È lì che ho capito cosa fosse successo e cosa stesse ancora accadendo. Fino ad allora sapevo solo che ero stato ricoverato per una polmonite. Era ciò che mi avevano detto. Ma confesso che non mi pesa essere chiamato paziente 1"
"Sono il paziente che è stato certificato per primo. Non penso proprio di essere il paziente numero 1”
“Sono stato ricoverato per polmonite. Solo quando mi sono svegliato mi hanno raccontato cosa c’era in giro, cosa stava succedendo e neppure nel dettaglio. Quindi la mia guarigione quando mi sono svegliato era esser guarito da una polmonite. Solo dopo ho capito la gravità di quello che stava succedendo intorno a me. Mi sento fortunato. Ho pensato molto dove possa aver preso il virus, ma non ho la benché minima idea di questo dove possa essere accaduto. Sia io che mia moglie, nelle nostre ricostruzioni, non siamo venuti a capo di un possibile punto di inizio. E non c’entra nulla neppure il mio amico tornato dalla Cina”.
"Dove sono stato contagiato? Non ne ho la minima idea"
“Una domenica sera mi sentivo un po’ debole e avevo la febbre un po’ alta. Pian piano è aumentata e allora sono andato al pronto soccorso. Le analisi hanno detto che era una lieve polmonite e mi è stato suggerito di curarla a casa, in quanto nei soggetti giovani è una pratica che viene svolta così. Al mio ritorno a casa con antibiotico, però la febbre è aumentata e mi sono ripresentato al pronto soccorso. Da lì in poi la febbre è cresciuta ancora fino a quando sono stato portato in terapia Intensiva. Ma fino a quel momento nessuno sapeva dirmi nulla. Se penso oggi a un episodio capitato durante il mio secondo ricovero sorrido. Chiedo ad un operatore sanitario se potesse essere un caso di coronavirus e in dialetto mi risponde ‘il coronavirus Cudogn ‘ Ensa’ nianche addu sta’, che significa ‘il Coronavirus non sa neanche dove sia di casa Codogno’ e invece siamo stati l’inizio di tutto”.
“Di mio padre non mi hanno detto nulla subito. L’ho saputo mezza giornata prima che se ne andasse. Mio padre è stato ricoverato anche lui in terapia intensiva a Varese e, solo dopo aver avuto il telefono, parlando con mia madre, ho saputo che era grave. Dopo mezza giornata, il 19 marzo, nel giorno della festa del papà, lui se n’è andato”.
"Avrei fatto di tutto per risvegliarmi prima della nascita di mia figlia. E ce l'ho fatta"
“Giulia è arrivata con anticipo, ma anche se non ero nel pieno delle mie forze sono riuscito ad assistere al parto. Ancora oggi, che sono ancora a riposo, me la godo tutto il giorno”.
“Mi sono addormentato con questo pensiero” di mia figlia che stava per nascere, ha proseguito. “Appena prima che mi addormentassero, proprio perché ancora non si sapeva che era Covid, ho avuto la possibilità di incontrare Valentina. Mi ricordo di aver accarezzato il suo pancione e di averle detto che avrei fatto di tutto per tornare. E ce l’ho fatta”.
Questa esperienza “mi ha lasciato la consapevolezza di quanto sia imprevedibile la vita: da avere una vita perfetta, lavoro casa famiglia sport amici, a poter perdere tutto in un istante. Per me ora è importante godere di tutto come se fosse l’ultimo giorno”
“Mi sentivo invincibile – ha spiegato -, anche perché pratico anche diversi sport, vivo per lo sport. Invece mi sono ammalato di questa cosa strana che non sappiamo ancora neppure come curare. Penso dunque che la vita sia davvero imprevedibile e bisogna godersela a volte senza pensare troppo al domani con un po’ di ragionevolezza ma anche senza aspettare troppo nel fare quello che amiamo fare”.
Ora “sono felicissimo, grazie soprattutto alla mia famiglia speciale e all’arrivo di Giulia. Per il domani voglio solo continuare così e tornare alla mia vita di prima, a quella di tutti i giorni, allo sport, al calcio. Vorrei che tornassimo a vivere come eravamo abituati prima”.
Quando racconterò questa storia a mia figlia Giulia ricorderò “innanzitutto il dottor Bruno, il mio nuovo papà. Io ho perso il mio per questa malattia ma Bruno che mi ha salvato lo considero così"
"E poi la dottoressa Malara. È stato grazie al suo intuito e al suo coraggio che è stato scoperto il coronavirus. Mia moglie che mi è stata vicino anche se non poteva esserlo fisicamente. Ma c’era. Lo so. E poi l’arrivo di Giulia che ha coronato il percorso. Non potevo permettermi di non esserci e mia moglie e lei hanno aspettato che ci fossi anche io”.
“Sono stato ricoverato per polmonite. Solo quando mi sono svegliato mi hanno raccontato cosa c’era in giro, cosa stava succedendo, e neppure nel dettaglio. Quindi la mia guarigione, quando mi sono svegliato, era esser guarito da una polmonite. Solo dopo ho capito la gravità di quello che stava succedendo intorno a me. E sì, mi sento fortunato”.
A suo risveglio, ha spiegato Maestri, “il primo pensiero è stato che volevo andare a casa, perché mi sentivo già bene. Purtroppo ero molto salvaguardato dall’ospedale e non avevo nessun contatto col mondo esterno. Gli infermieri, a cui devo molto, mi hanno dato un grande aiuto. Per tre o quattro giorni non sapevo nulla né della mia famiglia, né di mia moglie, non sapevo niente: ero solo lì a riprendere le forze che avevo perso”.
Di cicatrici “fortunatamente ne ho solo una in viso, che si può sistemare. Quelle dietro la nuca, che sono dovute al decubito, non dovrebbero creare problemi. Ma non mi importa di quelle. Neppure di quelle sulle ginocchia, poiché sono stato pronato. Quelle c’erano anche prima dovuti ad interventi precedenti al ginocchio. Quello che mi tormenta di più del mio recupero è riuscire a tornare alla forma fisica pre covid”.
“Sto incominciando a fare attività – ha spiegato. Non ho la forza fisica di 3 mesi fa ma sono incoraggiato dai medici, che la valutano come conseguenza normale di una terapia intensiva di lungo periodo. Sono positivo e continuo a lavorare per tornare al meglio. Lo sport era importante prima e lo è anche adesso. Il fatto che ne sia uscito bene senza, grosse conseguenze, da come mi hanno detto i medici è dato anche da questo: fare sport mi ha aiutato molto”.