Medicina
Salute, 5 abitudini nel sonno e il rischio morte: studio Harvard svela che...
Cinque abitudini nel sonno, lo studio di Harvard fa una serie di scoperte importanti legate al rischio di morte
Salute, Cinque abitudini nel sonno: -30% rischio morte. Lo studio di Harvard
Dormire da 7 a 8 ore a notte, avere difficoltà a prendere sonno non più di due notti a settimana, avere difficoltà a rimanere addormentati non più di due volte a settimana, non utilizzare farmaci per dormire e sentirsi riposati al risveglio almeno cinque giorni alla settimana. Uno studio di Harvard ha dimostrato che chi soddisfa tutti e cinque i criteri ha il 30% in meno di probabilità di morire per qualsiasi motivo rispetto a chi ne soddisfa uno o nessuno.
Lo studio ha scoperto che l’8% delle morti può essere attribuito a cattive abitudini di sonno. Il soddisfacimento di tutti e cinque i criteri di sonno riduceva del 19% il rischio di morire per cancro. Secondo i ricercatori, quasi un terzo degli adulti negli Stati Uniti non dorme le 7-8 ore raccomandate dal Centers for Disease Control and Prevention
Abitudini del sonno influenzano l’aspettativa di vita, lo studio
Se molti studi si sono concentrati sulla durata del sonno, i comportamenti relativi al sonno sono sempre stati trascurati. Questo studio di Harvard è il primo ad esaminare come le abitudini del sonno influenzino l’aspettativa di vita, invece di esaminare solo la durata del sonno. Il campione utilizzato per lo studio è rappresentativo a livello nazionale e comprende dati di 172.321 persone con un’età media di 50 anni tra il 2013 e il 2018.
I dati provengono da persone che hanno preso parte al National Health Interview Survey, un sondaggio annuale sulla salute generale dei Centers for Disease Control and Prevention (CDC) e del National Center for Health Statistics che include domande sul sonno. Il team di ricerca ha collegato i dati ai record del National Death Index per indagare il legame tra i fattori del sonno delle persone e la causa della morte. I risultati completi saranno presentati a New Orleans alla conferenza congiunta dell’American College of Cardiology e della World Heart Federation tra il 4 e il 6 marzo.