Pakistano: "Mettiamo una bomba in aeroporto". Attentato in Italia?
Pakistano, ecco le carte dell'inchiesta. Pianificava una bomba in aeroporto
Pakistano espulso dall'Italia, ecco il suo piano che emerge dalle carte: "Mettiamo una bomba in aeroporto"
La macchina costeggia l’aeroporto di Orio al Serio e le sue piste, ma non è un viaggio quello a cui sta pensando l’uomo alla guida: «Vedi - dice rivolto a un paio di amici, mentre indica con la mano gli aerei oltre la recinzione - se uno vuole, non è difficile organizzare un attentato qui». È la seconda metà del 2015 e Farooq Aftab è sempre più ossessionato dalla guerra in Siria e dagli attentati che stanno insanguinando l’Europa, una risposta «giusta» contro «chi ammazza musulmani». Più passano i mesi - osservano con preoccupazione gli investigatori - e più opinioni politiche e religiose radicali del giovane immigrato pachistano si sovrappongono in modo sempre più difficile da distinguere a un crescente disagio mentùale. Cambiano gli obiettivi, come quando a Capodanno del 2015 passa davanti all’enoteca di Vaprio D’Adda, in provincia di Milano, dove vive, e pianifica di distruggerla «con una bomba» o «a colpi di kalashnikov», «così la gente poi ha paura». Ma in testa, rimane un chiodo fisso: «La jihad è la cosa più importante di tutte. Gli europei devono avere paura».
Nelle carte della Direzione distrettuale antimafia e dei carabinieri del Ros di Milano - si legge su http://www.ilsecoloxix.it - c’è l’evoluzione del percorso di radicalizzazione di Aftab, 26 anni, magazziniere da Decathlon. Un percorso che supera il livello di guardia alla fine del 2015. Tanto che a partire dai primi giorni di gennaio di quest’anno i pm milanesi Maurizio Romanelli e Pietro Basilone cominciano a tenere meeting quasi quotidiani con il capo degli investigatori, il colonnello Paolo Storoni. A preoccupare, più di tanti altri casi monitorati, è quel misto di fanatismo e isolamento che fa di quel ragazzo, espulso alcuni giorni fa con un provvedimento firmato dal ministro dell’Interno Angelino Alfano, un potenziale «lupo solitario».
È il dicembre del 2015. La trasfigurazione di Aftab diventa sempre più evidente anche tra le mura domestiche. Picchia la moglie, vorrebbe che si mettesse il burqa. Al tempo stesso ne cerca la complicità: «Facciamo un attentato in Europa. Andiamo a cercare dei militari. Uccidiamo 2-4 persone ed è finita la storia». Aftab sembra sempre più instabile. È il 25 marzo, la fine della Settimana Santa. Sta passeggiando per il paese e si imbatte in una folla di fedeli fuori dalla chiesa. «Scemi - li apostrofa - Miscredenti. Siete tutti scemi». E mentre le intercettazioni mostrano un (auto) giuramento di fedeltà al califfo Al Baghdadi, a voce alta, nella solitudine del suo appartamento, in lingua araba, i carabinieri del Ros registrano contatti con Ibrahimi Bledar, albanese espulso dall’Italia alcuni mesi prima e continua a catechizzare e sopraffare la moglie: «Io ti insegno a guidare la macchina - dice - così vai a uccidere gli sciiti in Iraq. E se non riesci ad ammazzare degli sciiti, uccidi dei militari. Tu staresti con i kafir, ti piacciono gli infedeli - le dice ancora lui - bisogna fare la jihad, è la cosa più importante. I musulmani stanno morendo. Bisogna partire, io sono pronto a lasciare anche i parenti». È il segnale finale, quello che spingerà gli investigatori ad accelerare l’intervento.