Politica
La Caporetto della Moretti? Le riforme Dem mal comunicate
Alessandra Moretti è così. Spontanea: “Vabbè, non ci giriamo tanto attorno. Si sa che le vittorie hanno tanti padri e le sconfitte sono sempre orfane. Allora diamo una madre a questa batosta in Veneto. Sono io. Punto”. Ogni volta che parla, scoppia un caso. Prima Ladylike. Ora, sul Corriere del Veneto, la frase, che suona come un atto d’accusa al suo staff comunicativo: “Mi hanno fatta vestire come un tranviere!”. Effettivamente, il look era triste assai. Niente di male, per carità.
Se, però, l’agenzia di comunicazione è Dot Media, fiorentina, che ha ottimi rapporti col “giglio magico”, rischia, appunto, di diventare un caso. Alessandra, al telefono, è un fiume in piena: “Riusciamo a fare un discorso serio? Non c’è dubbio che quel profilo comunicativo era sbagliato, ma non si può ridurre tutto a una battuta e non si perdono le elezioni per un tailleur. Ma sono io, lo dico e lo ripeto, la responsabile degli errori e delle scelte, di tutte le scelte. Non cerco né capri espiatori né alibi”.
Facciamolo questo discorso serio. "Mi faccia dire una cosa, che deve, però, scrivere: io, in tutto quello che ho fatto nella vita, ci ho messo la faccia, assumendomi la responsabilità fino in fondo. Me la sono assunta quando, un anno fa, fui la più votata, in Italia, alle Europee proprio nel Nord-est e i titoli erano su Miss Preferenze. E, oggi che in Veneto c’è stato il peggior risultato del Pd a livello nazionale, i titoli sono sulla Caporetto della Moretti. Però i risultati politici si analizzano".
Ecco, proviamo a fare un’analisi della sconfitta. "Così come, quando vinsi, non c’è dubbio che c’è stato il traino nazionale di Renzi – la novità, gli ottanta euro, l’immagine del rinnovamento – in questa tornata, c’è un mix di elementi nazionali e locali su cui ho studiato molto, in queste settimane. Sgombro il campo, parlando subito di quelli che considero i miei errori, come candidata. Il più grave è di non aver interpretato il sentimento, diciamo così, autonomista del Veneto.
Mi spiego: ho puntato molto sull’essere il candidato, che ha un governo amico, mentre qui paga molto di più una visione di contrapposizione. Il Veneto si sente autonomo e indipendente, è una regione moderna ed europea, che ha alti standard di servizi e di livello di vita. Non sente il bisogno di un aiuto di Roma, anzi tende a marcare le distanze con Roma…
Oddio, qui si potrebbe aprire un discorso buono per un convegno di studi. Gliela metto così, in modo grezzo: è vero che non puoi dire ai veneti “ti conviene votare me, perché sono al governo anche a Roma”, però c’è un punto: il governo Renzi, in questi mesi, ha fatto tutta una serie di riforme, che sarebbero dovute piacere al blocco sociale in Veneto. Se non vi vota il Nord quando abolite l’articolo 18, quando litigate coi sindacati, quando vi appoggia la grande stampa, allora quando vi votano?
"Accetto questo terreno. Non condivido l’analisi ma è un terreno serio. E qui veniamo a quanto ha pesato il contesto nazionale sul voto del Nord. Innanzitutto, le dico: se la ricorda la Camusso, Cgil, che viene qui e dice “votate scheda bianca"? Non mi pare poco. Anzi, mi pare un’affermazione poco di sinistra. Perché non votare me significava, come si è visto, far vincere Zaia, la Camusso, in modo spero non consapevole, ha dato un sostegno indiretto alla destra".
Ho capito, però non sfuggiamo alla questione. Oggi Lina Palmerini, sul Sole, cita uno studio elettorale molto interessante. E dice: “La Lezione del Veneto per Renzi: elettori impreparati sul jobs act”. L’ho letto anche io e ho trovato conferma della sensazione avuta in campagna elettorale. Secondo lo studio, due terzi dei votanti dem non sapevano della riforma della scuola, metà della riforma del lavoro. E, secondo lo studio, l’ultima settimana sull’immigrazione è stata devastante.
Le do una notizia: il crollo, vedendo i sondaggi, c’è stato proprio nell’ultima settimana quando il tema dell’immigrazione è diventato dominante. E, guardi, i ministri sono venuti tutti in Veneto, dalla Boschi alla Madia a Poletti, alla Pinotti a Martina, e li ringrazio di cuore, ma il dato interroga tutti noi. Se le nostre riforme non sono state capite, c’è un problema, che riguarda il modo di “comunicare”.
Si spieghi meglio. "Il governo Renzi ha messo in campo un’azione riformista, come mai si era vista in questo Paese. Riforme epocali in un Paese fermo e immobile da vent’anni. Le riforme non sono indolori, e certo, probabilmente, è mancato il tempo di spiegarle ai nostri elettori e di farle digerire. Credo che, comunque, sia preferibile aver intrapreso questa azione e vedere il Paese, che cambia, anche a costo di qualche incomprensione con gli elettori. Il tempo ci darà ragione".
Sintetizzo: l’operato del governo è fantastico, va bene, le riforme sono quelle che ci volevano e che, come dite voi, il Paese si aspettava da Vent’anni. Però, sotto il livello del governo, s’è sentito un po’ di vuoto. "Come sempre, l’ha messa giù un po’ secca, però diciamo che la sintesi è accettabile. Non c’è dubbio che, così come c’è stata una componente nazionale nel successo, c’è stata una componente nazionale nell’insuccesso. Ma guardi che questo mica significa fare una polemica con Renzi. È il primo ad essere consapevole che qualcosa, nel voto, non è andato. Ed è il primo che si è messo a studiare il dato.
Si ricorda quando disse “Basta Renzi 2, torniamo al Renzi 1”? Bene, anche io credo che, sul partito, il rinnovamento vada portato fino in fondo. E che, sulla comunicazione, dobbiamo fare uno sforzo straordinario per raccontare le cose straordinarie che stiamo facendo !".