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Politica
Conte, i Dpcm e perché “non” salvare il Natale sarebbe la vera conquista

Alcune parole pronunciate dal capo del governo Conte durante la presentazione dell’ennesimo Dpcm riecheggiano nella mia testa: salviamo il Natale. In questo sciagurato anno della pandemia, al governo che si barcamena sul da farsi (come altri in Europa), legiferando a tentoni, resta il tempo per un pensiero al Natale. Una festività che negli anni è diventata uno sprezzo al senso religioso autentico, che ci ha condotto più nei centri commerciali che nei luoghi di culto, il Natale da momento di riflessione e di preghiera è diventato un’occasione di frugalità (con cenoni e vacanze), le reunion famigliari sono diventate spesso forzate (anche a causa dei divorzi imperanti).

Cosa ci sia da salvare non lo sappiamo. Abbiamo riempito le nostre vite di rumori di fondo, di onnipresenze virtuali, di vacuità: siamo noi quelli da salvare, non il Natale. Dopo il populismo che ha contraddistinto l’azione di questo governo e quello precedente, vittime entrambi del grillismo, ora si cede anche il passo alla retorica del Natale. Abbiamo riconosciuto a questo governo che nella fase più acuta della pandemia, di marzo e aprile, non poteva fare altro di quello che ha fatto, poi però il suo procrastinare ogni decisione rilevante (sei mesi a palare del Mes per liquidarlo con palesi falsità, dei progetti del Recovery Fund ancora ignoti) e il suo ammorbarci con eventi inutili (chi si ricorda gli Stati Generali? E il piano Colao?) sono stati solo il riempitivo di quello che dovrebbe essere il senso dell’azione di un governo responsabile: fare politica, prendere decisioni, non pensare al Natale.

Abbiamo speso i mesi estivi a compiacerci di essere stati i migliori a fronteggiare la pandemia anziché prepararci alle future ondate, abbiamo osservato sbigottiti il bando dei banchi di Arcuri quando invece il problema del ritorno a scuola era la questione trasporti. Il risultato? Lezioni a distanza che sono uno schiaffo al futuro dei giovani e chiusure di cinema, teatri, ristoranti e palestre che penalizzano le categorie che più hanno speso tempo e denaro per garantire ambienti sanificati e distanziamento.

 

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