Politica
Conte, non solo premier. Quando leader di partito?
Di Massimo Falcioni
A “La Piazza”, la riuscita kermesse di Affaritaliani ieri a Ceglie Messapica, il premier Conte alla domanda del direttore Angelo Maria Perrino se pensa di fare il leader di un partito, risponde: “Direi di no”. Altre sono oggi le sue priorità, guidando un esecutivo inedito e in fieri formato da Partito democratico e M5Stelle, i due partiti in passato contrapposti e ora alla verifica dei fatti, in bilico fra rilancio o debacle: entrambi in calo negli ultimi sondaggi (Pagnoncelli) con Pd al 19,5% e 5Stelle al 20,8%. Frena anche la Lega al 30,8%. Comunque, l’uso del condizionale: “Direi di no”, lascia aperta tale possibilità, dipendente, oltre che dalle scelte personali di Conte, dalla tenuta e dagli sviluppi del governo “giallorosso” e dall’evoluzione del quadro politico. Intanto, più che pensare di indossare i panni di capo partito, Conte è rientrato a Palazzo Chigi cambiando toni e sostanza alla sua premiership, facendo capire ad amici e avversari che la “ricreazione” è finita.Così l’avvocato del popolo è passato dalla condizione di premier politicamente debole – un “Re travicello” ostaggio dei turbolenti Salvini e Di Maio nel precedente esecutivo “gialloverde” – a quella odierna che mantiene l’aplomb del professorema che alla bisogna sfodera gli artigli del politico d’assalto, autorevole primo ministro capace non solo di esercitare il ruolo di mediazione ma di dettare la linea diventando il “dominus” della politica italiana, interlocutore credibile in Europa e nel mondo. Un percorso, quello di Conte, non privo di incoerenza e contraddizioni politiche: tacciato perciò di “tradimento” dagli avversari ex alleati (Lega) ma considerato da vecchi e nuovi amici di cordata l’uomo giusto al momento giusto, capace di unire Pd e M5s evitando al Paese la prova lacerante del voto anticipato e probabilmente la consegna dell’Italia a Salvini. I nodi sono però tutti da sciogliere (a cominciare dall’aggiornamento al Def, la Nadef ecc.) ma in un quadro e in una prospettiva diversi, con l’Italia non più isolata nella Ue e con i mercati benigni. La coperta, si sa, è corta e non basta per coprire tutti. E’ una questione di scelte politiche, in economia dove serve una manovra espansiva, ma anche su altri temi, dove non ci si potrà limitare a esercitare il ruolo di Ponzio Pilato né quello di Re Salomone. Serve, quindi, oltre a un esecutivo coeso, l’autorevolezza politica del premier, quella autorevolezza non solo data dai referenti di Palazzo interni ed esteri, ma quella che in democrazia è data dalla legittimazione del voto dei cittadini, alle urne. Prima o poi, per ambizione personale o per esigenze politiche o per entrambi i motivi, tale questione si porrà e Conte si troverà nel bivio imboccando la via della sua discesa in campo come leader di partito. “Bell’e che pronto”, in cerca di identità e di leadership e in crisi elettorale, c’è il M5S. Ma la formazione ideale, culturale e politica di Conte mal si addice a guidare un movimento che ha fatto dell’antipolitica e del plebiscitarismo la sua ragion d’essere, pur cambiando pelle ed essersi integrato nel Palazzo. La forza di Conte sta nell’essere stato fin qui “super partes”: da questa posizione, in un futuro non lontano, può chiamare a raccolta in un inedito partito – baricentro e volano neo centrista liberal riformista di un nuovo sistema di alleanze politico-sociali - gli italiani moderati presenti oggi trasversalmente nei due schieramenti di centrosinistra e di centrodestra e, maggioranza silenziosa delusa, da tempo politicamente orfani e rifugiati nella prateria dell’astensionismo. Tutto si è messo in movimento e gli sbocchi dipenderanno anche dalle riforme costituzionali da farsi in tempi rapidi e non a colpi di maggioranza: la riduzione dei parlamentari, il superamento del bicameralismo, la nuova legge elettorale, (forse un proporzionale con clausola di sbarramento, alla tedesca). Il futuro non è nella sinistra nostalgica e litigiosa. Idem per la destra di vecchio e nuovo conio. Indietro non si torna, né ai partiti di massa ideologizzati della prima Repubblica, né ai movimenti populisti imperniati sull’anti politica tout court da cui sono sgorgati i 5Stelle e la Lega. C’è una maggioranza di italiani politicamente in attesa. Berlusconi? Acqua passata. Renzi? Usato non garantito. Il prossimo treno è quello di Conte?