Politica
Coronavirus e crisi: sbloccare la politica. E' l'ora del "governo ombra"?
Non si vince questa guerra contro il Coronavirus se oltre a un sistema sanitario capace di sostenere l’urto la politica non dà un segnale di svolta in modo da creare condivisione e consenso fra i cittadini oramai al limite della tenuta economica e sociale. Qui in ballo non c’è solo la salvezza del Natale alle porte ma come non far precipitare l’Italia, difendendola intanto dal bombardamento della pandemia, evitando al contempo la disgregazione economica che può debordare in una drammatica e pericolosa lacerazione sociale.
Le proteste dei tassisti, dei driver, dei ristoratori, degli addetti all’accoglienza turistica ecc. sono l’iceberg di quello che c’è nel Paese dove cova il virus peggiore del Covid-19 – quello del sospetto e della ricerca del capro espiatorio – fra chi si sente (non a torto) preso di mira e abbandonato al proprio destino con lo sbocco del fallimento delle proprie attività e la perdita del proprio lavoro e chi pensa di scamparla: “tanto il Covid a me non mi prende” tirando avanti con il salario da dipendente pubblico o la pensione che comunque arrivano sul conto bancario a fine mese. Insomma, lo scontro fra garantiti e non garantiti è già in atto, rischiando di creare presto uno strappo deleterio per la tenuta sociale e democratica della Nazione. L’ultimo Dpcm Conte con le “regioni colorate” è un atto dovutoper dire che il governo c’è e decide. Un provvedimento che però rischia di essere contraddittorio (qual è la logica di misure diverse per situazioni simili?) o quanto meno inadeguato (rispetto alla situazione epidemiologica e alle urgenze economico-sociali) – una diga di cartone di fronte a uno tsunami - per il solito gioco dello scaricabarile politico-istituzionale, con il cerino acceso che passa di mano in mano all’interno di una polveriera.
C’è tensione, anche per come affrontare la situazione sul piano dell’ordine pubblico: come far rispettare le norme anti-Coronavirus, come gestire le proteste montanti dei cittadini stanchi e disperati, come gestire il nodo dell’immigrazione clandestina e anche come far fronte alle minacce del terrorismo. La questione, come si dice, è politica, cioè di potere politico e di esigenza elettorali: nel governo c’è chi vuole una linea dura, con il lockdown nazionale, e chi, all’opposto, vuole tutto aperto. Così il premier Conte è costretto a una mediazione che via via si dimostra sempre meno efficace nel far fronte alla pandemia e ai suoi risvolti economici e sociali. La domanda è una sola: Conte regge? Il premier ha il sostegno di Mattarella e gli stessi principali partiti di maggioranza (PD e M5S) sanno bene che se oggi muovano alla base la carta Conte, viene giù il castello, con loro sotto. Poi, si sa, in politica tutto può sempre accadere, compreso l’incidente di percorso (in Parlamento) che cambia musica e musicanti. Lo stallo politico-istituzionale è evidente e tiene l’Italia nella palude. Così com’è, questo governo non è in grado di far fronte all’emergenza che s’allargherà nelle prossime settimane proiettandosi fino al 2021.
Resta il fatto che “in guerra” non si cambia il governo, tanto meno nel pieno di una pandemia si possono chiamare gli italiani al voto anticipato. Anche perché, pur con i sondaggi che danno il centrodestra davanti al centrosinistra+5Stelle, neppure Salvini e la Meloni vogliono oggi “sporcarsi le mani”, preferendo che siano Conte e i suoi ministri a rimanere sui carboni ardenti, logorandosi, con Pd e M5S poi, passata la tempesta, a pagare elettoralmente il conto finale. Tocca al capo dello Sato sbloccare lo status quo stanando chi , nella maggioranza e nell’opposizione, si nasconde per calcolo politico di parte, perché gli sta bene così. Va evitato l’empasse che può portare al caos, magari spinto da quella risacca moderatache è maggioranza nel Paese e non ne può più di questo andazzo.
Non si può lasciar fare tutto a Conte, risorsa della politica, ma uomo senza partito. Con il M5S in crisi, tocca al Partito democratico battere il colpo dimostrando che per concorrere a tenere il Paese sulla giusta rotta non basta essere un partito “grosso”, bisogna diventare un partito “grande”. E’ ora di capire cos’è davvero questo Pd, su quale tipo di consensi può contare, quali forze ideali lo animano, quali interessi rappresenta e qual è – se c’è – il suo progetto politico. Per poter superare indenne questa dura fase il Pd deve agire, uscendo dall’attuale schema bloccato.
Non servono etichette, come quella di un governo di “unità nazionale”, per aprire una nuova fase. Forse serve puntare avanti guardando indietro: come quando nel 1978, nelle fasi drammatiche del “sequestro Moro”, si formò un “governo ombra” con riunioni extra istituzionali fra l’allora premier Andreotti e autorevoli membri dei partiti di governo e di opposizione, in primis DC e PCI. Lì si decideva. Così si salvò l’Italia. Perché, in una fase di emergenza come questa, non riprovarci?