Cresce l’ipotesi elezioni anticipate. E Salvini rischia l’effetto boomerang - Affaritaliani.it

Politica

Cresce l’ipotesi elezioni anticipate. E Salvini rischia l’effetto boomerang

Massimo Falcioni

Governo, i nodi vengono al pettine

Venezia sott’acqua, il caos Ilva, il bubbone Alitalia, la legge di bilancio lontana da una sintesi unitaria e nel gorgo di un iter parlamentare minato, pur nella loro diversità, sono l’iceberg di una più ampia e profonda situazione di crisi generale del  Paese, specchio del suo declino. Con il fardello del passato, in due mesi e mezzo nessun governo può fare miracoli, ma il Conte bis è ben lungi dall’aver imboccato la strada della “svolta” promessa all’inizio dal premier. Ciò per la mancanza di una visione strategica dovuta a una alleanza di governo posticcia e per le divisioni interne causate dagli interessi politico-elettorali dei singoli partiti e delle rispettive leadership. Così l’Italia brucia la sua residua credibilità internazionale, stretta in una morsa che mette a nudo vecchie e nuove inefficienze e responsabilità della politica e delle istituzioni e che può far naufragare maggioranza e governo riaprendo la prospettiva del voto anticipato.

Una iattura, pur con diverse intensità e prospettive, per il poker dei partiti al governo M5S, Pd, LeU, Italia Viva e, all’opposto, un trionfo annunciato per il centrodestra a trazione Lega con Salvini leader della nuova coalizione. Una situazione non priva di sbocchi imprevedibili anche con l’effetto boomerang per lo stesso “Capitano” che potrebbe rischiare di trovarsi nella classica “vittoria di Pirro”, nella scomoda posizione di gestire una “vittoria mutilata”. I nodi più acuti della crisi possono sfociare in una situazione ad alto rischio bruciando chi prende le redini del governo.

La storia insegna che non si governa sulle macerie e che non c’è leader buono per tutte le stagioni. Le eccezioni confermano la regola. Dopo aver guidato l’Inghilterra nella durissima prova della 2° Guerra mondiale Winston Churchill fu imprevedibilmente sconfitto alle elezioni del 1945. Perché? Perché l’eccentrico statista tutto d’un pezzo con il suo sigaro emblema della nazione capace di resistere all’orda nazista era considerato dai suoi connazionali insostituibile quale “uomo di emergenza” ma inaffidabile quale premier in tempo di pace: così fu battuto alle urne dal liberale Lord Beveridge, scelto per il suo rassicurante programma sociale laburista “dalla culla alla tomba”. Gli inglesi, pur riconoscendo al “loro” Winston qualità di statista e il merito della vittoria, votando pensando a loro stessi e al futuro del loro Paese e non al personaggio, dimostrarono una grande capacità di coscienza politica.

Che vuol dire? Che anche per Salvini è l’ora del cambio di passo, sintonizzando tattica e strategia al mutare degli eventi, fuori dalla logica del “tanto peggio tanto meglio” su cui punta una parte della destra. Al capo leghista non serve più gridare “Al voto! Al voto!”  perché il tempo lavora per lui, per il suo partito e per la sua coalizione, cuocendo a fuoco lento i partiti al governo e i rispettivi leader, in particolare il “nemico” Di Maio ma anche l’”ex amico” inquilino di Palazzo Chigi costretto a destreggiarsi fra le beghe interne alla maggioranza, in particolare la mina vagante di Matteo Renzi. Agli italiani stanchi, delusi e divisi non va promesso uno zolfanello acceso in un Paese che è già potenzialmente una polveriera, bensì proposte concrete e credibili per sciogliere i nodi più acuti ben sapendo che per venir fuori da questo marasma ci saranno altri costi e serviranno tempi lunghi.

Intendiamoci, non tocca oggi a Salvini togliere le castagne dal fuoco sostituendosi a chi ha voluto il bastone del comando con una alleanza costituzionalmente legittima ma al limite del trasformismo politico e minoritaria nel Paese. Serve al capo leghista lucidità e freddezza, gran senso di responsabilità nazionale, nessun risentimento personalistico nei confronti degli ex alleati, oggi considerati traditori e nemici. Il prossimo voto emiliano è lo snodo per il governo e per il quadro politico nazionale. Se a fine gennaio il Pd perde l’Emilia Romagna, simbolo di una epopea e del buon governo della sinistra, sarà Zingaretti a far uscire il suo partito dalla maggioranza e a staccare la spina al governo andando (forse) diritti al voto anticipato.

Il progetto di Zingaretti di trasformare la proposta iniziale renziana di un governo di scopo per l’alt a Salvini in un esecutivo di legislatura e addirittura in una alleanza politica fra Pd e M5S è fallito dopo la debacle del voto in Umbria e dopo il niet di Di Maio che insiste con gli smarcamenti e i colpi bassi. Così i nodi vengono al pettine e il lodevole impegno del premier Conte rischia di diventare un rischioso volteggiare sul trapezio, un tappabuchi solitario di un generale senza esercito. Salvini è vicino al rush finale puntando diritto su Palazzo Chigi.