Politica

Elezioni 2022: strategie comunicative e tic dei leader in campagna elettorale

Di Lorenzo Zacchetti

Meloni che per la prima volta parte da favorita, Berlusconi carico a pallettoni come negli anni '90, Letta impegnato nel difficile equilibrio con gli alleati...

 

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Silvio Berlusconi
Adeguatamente motivato dalla possibilità di riscattare la delusione per il mancato approdo al Quirinale, che sogna da sempre, si è gettato in questa campagna elettorale con la sua solita dotazione bellica, fatta di forza economica, strapotere mediatico e, dulcis in fundo, entusiasmo e talento personale.

Quando si tratta di propaganda, Berlusconi ha ben pochi rivali. Lo si vede anche dagli efficaci slogan lanciati in questa campagna: pensioni minime a 1.000 euro per 13 mensilità, un milione di alberi da piantare (in più rispetto al Pnrr, lo ha chiarito Tajani in sua vece) e un trittico che richiama i cavalli di battaglia degli anni '90: “Meno tasse, meno burocrazia, meno processi”. Effetto vintage, anzi evergreen. Certo, oggi Berlusconi non è più il leader della coalizione, ma se la somma dei deputati di Forza Italia e Lega non fosse troppo inferiore a quelli di FdI, giocherebbe di nuovo un ruolo decisivo, potendo quindi ambire alla Presidenza del Senato (ruolo che smentisce di desiderare) se non addirittura al Quirinale. Chiudendo il cerchio.

 

letta draghi
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Enrico Letta
Benché il Pd sia l'unico partito in grado di contendere a FdI il ruolo di forza più votata (almeno nei sondaggi), il suo problema sono le alleanze: i compagni di strada non hanno sufficiente consenso per poter contendere la vittoria al centrodestra. Bisognerebbe ampliarne il perimetro, ma il famoso “campo largo” è morto in fase di gestazione, per via della rottura con il M5S. Letta allora ha provato a ricostruirlo, usando la stessa pazienza certosina con la quale ha messo d'accordo le varie correnti del Pd e che, caso più unico che raro, durante la sua segreteria sono state particolarmente concilianti.

Molto più difficile è risultata l'interlocuzione con tipini come Carlo Calenda e Matteo Renzi, come peraltro c'era da aspettarsi. Nel rapporto con il centrodestra, Letta ha ben chiaro che attaccare Giorgia Meloni significa rafforzarla. Anche per questo ormai da tempo coltiva con la leader del campo avverso un rapporto di assoluto fair-play reciproco, che alcuni interpretano come un'apertura di credito in caso di (ennesimo) pareggio elettorale. Una sorta di preludio ad un altro governo di larghe intese, nel quale si potrebbero persino scorgere tracce di accordi rossoneri. Dopo il governo gialloverde e quello giallorosso tutto sembra possibile, ma non esageriamo.