Politica
Gentiloni e Renzi, quando la differenza sta nel linguaggio
Nella storia c'è una sovrapposizione tra sostanza politica ed essenzialità del linguaggio. Si pensi a Confucio, Giulio Cesare, Machiavelli. Anche se tutto è relativo perché possono subentrare elementi come la falsità.
È evidente che il linguaggio forte è quello più semplice, sobrio, non drogato. Dopare il messaggio significa indebolirlo e in un certo senso privarlo di verità e svelare il falso. Per questo Carl Gustav Jung dice che "il fanatismo è l'iper-compensazione di un dubbio", Alessandro Manzoni che "la scrittura è una questione morale" (chissà che cosa penserebbe Manzoni dei personaggi dello spettacolo di oggi che si fanno scrivere da altri il libro su cui appongono la firma… una bestemmia, un reato a livello di coscienza personale), Giuseppe Pontiggia di credere più "a chi afferma di aver conosciuto una donna bella rispetto a chi sostiene di aver incontrato quella più bella del mondo".
A tutto ciò corrisponde come una linea retta che guida i comportamenti e le idee, una sorta di coerenza - che va oltre eventuali, legittimi e onorevoli cambi di opinione durante il percorso - che conduce lungo la via. In questo senso è stato detto che un grande giornalista scrive sempre lo stesso articolo.
A un'analisi formale, c'è differenza tra la comunicazione controllata del presidente del Consiglio Paolo Gentiloni e quella eccessiva dell'ex premier e segretario del Pd Matteo Renzi ("Mi candido ad Arezzo", "Faremo come i viola a Verona" (viola intesi come squadra di calcio ACF Fiorentina), "Solo il Pd difende l'ambiente. Fuori dal Pd ci sono le politiche di Trump"), probabilmente mal consigliato o semplicemente caratterizzato da tale indole. Per completezza, una parentesi su Papa Francesco il cui linguaggio esagerato nella semplicità (il cuore, il diavolo entra dal portafoglio, Dio vi chiede di pentirvi) riflette il suo soffermarsi sul messaggio secondario del cristianesimo (l'amore, si tralasci l'uguaglianza… deriva catto-comunista) invece che sul primario (l'immortalità dell'anima) che indurrebbe un linguaggio più misurato nella complessità.