Politica

Giuseppe Conte fa saltare il “blocco”. La politica torna in campo?

L'opinione di Massimo Falcioni

Affermando che: “il blocco non ha più senso” e decidendo sulle prossime riaperture non a macchia di leopardo ma in tutta Italia, il premier Conte non abbandona la linea della prudenza sul Coronavirus né tanto meno compie un atto sconsiderato o di imperio. Conte ha fatto quel che in democrazia deve fare il capo del governo: informarsi da chi sa, ascoltare chi di dovere e poi, nel rispetto della Costituzione e dei ruoli istituzionali, prendere decisioni che valgono per tutti sapendo che chi sbaglia paga. Quello di Conte è un segnale che va oltre il contingente della pandemia per ridare alla politica il proprio ruolo decidendo sulla vita dei cittadini.

E’ così che l’Italia ha superato i suoi anni più difficili – dopoguerra, ricostruzione materiale e morale, divisioni ideologiche, terrorismo, tragedie naturali ecc. – grazie al consenso, all’autorevolezza e all’autorità democratica della politica e delle istituzioni capaci di dare lalineaal Paese. Così gli italiani, ognuno con le proprie idee politiche e non senza contraddizioni e strappi, remavano nella stessa direzione, nell’interesse nazionale inteso come salvaguardia della propria condizione. Quando invece la politica è orientata o condizionata da altri poteri (nazioni straniere, multinazionali, organizzazioni corporative di categoria, o anche da chi è depositario del potere giudiziario o come oggi del potere scientifico e sanitario), il Paese viene inquinato dalle interferenze di “parte”, dominano i più forti a danno dei più deboli, i cittadini perdono fiducia nelle istituzioni, tutto va in rovina.

Dunque, dopo i tre mesi di pandemia con decine di migliaia di malati e di morti e danni gravissimi sul piano economico e sociale la decisione di ieri del capo del governo è un segnale di svolta per la ripartenza ed è anche il primoaltalla Babele regionale che da settimane imperversa rischiando di disgregare l’unità istituzionale e politica del Paese. Un segnale che, per essere credibile e dare risultati concreti nella vita quotidiana degli italiani, deve trovare coerenza nei fatti, con provvedimenti e decreti non bruciatidai tentacoli della burocrazia. L’Italia fa i conti con tragedie ricorrenti ma non pare che la lezione sia servita. Fra le forze politiche e sociali dominano profonde diffidenze e incomprensioni sul come affrontare l’attuale situazione, oggettivamente non facile.

Fra i partiti c’è una durissima contrapposizione rimpallandosi responsabilità e strumentalizzando le conseguenze della pandemia per convenienze politiche e per fini elettoralistici. Fra maggioranza e opposizione non c’è un comune filo conduttore di “salvezza nazionale” che consenta agli italiani di credere nella politica e operare per il bene comune. Mancano credibilità e sintesi politica e ognuno, anche nella maggioranza di governo, fa e disfa come può e come vuole, per interessi di parte.

Conte, anche con l’ultima decisione sulle riaperture, ci prova a ridare un senso politico a un governo di desaparecidos. La sua rischia di essere “vox clamantis in deserto”, all’interno di una maggioranza tenuta insieme col cerotto del potere, priva di identità e di un progetto politico-programmatico di ricostruzione nazionale. Così, dura minga! Ma: “Se Atene piange, Sparta non ride”: se il centrosinistra vacilla anche nei consensi, nei sondaggi neppure il centrodestra gode. Tanti sono gli italiani delusi, indecisi, attratti dall’astensionismo. Dalle rovine nessuno ne esce indenne, tanto meno i partiti e le rispettive leadership che, stavolta, rischiano di rompersi la testa. Conte compreso. Anzi, Conte per primo, se quella di ieri che spezza il blocco, fosse solo la mossa del cavallo e non un tassello di una strategia per il rilancio del Paese in affanno.