Politica

Giustizia, tiepido no del Pd ai referendum Lega-Radicali

di Paola Alagia

Intervista di Affari a Walter Verini (Pd): “Oggi suonano come un messaggio di sfiducia verso Governo e Parlamento che devono affrontare il percorso di riforme"

Non solo ha presentato insieme ai Radicali i quesiti referendari sulla giustizia, ma Matteo Salvini ha anche rivolto un appello a tutti i partiti a partecipare alla raccolta delle firme. Un’iniziativa che a sentire il leader della Lega non confligge con il percorso delle riforme, ma è uno “stimolo al governo e al Parlamento”. Affaritaliani.it ha chiesto un parere a Walter Verini, tesoriere del Partito democratico ma anche ex responsabile giustizia del Pd e membro della Commissione dedicata. Intervistato dal nostro giornale, il deputato dem ha chiarito subito che “il nodo qui non è l’istituto referendario. Nessuno vuole demonizzarlo. Il punto è un altro: prefigurare dei referendum oggi suona come un messaggio di sfiducia nei confronti del Governo e del Parlamento che dovranno affrontare il percorso di riforme”.

Verini, ciò significa che sono sbagliati i tempi?
Ritengo che questa iniziativa rischi di indebolire la possibilità e la necessità di approvare in Parlamento le riforme. Un’occasione che non possiamo perdere. Il metodo e la regia del ministro Cartabia sono quelli giusti per modernizzare la giustizia di questo Paese. Le forze di maggioranza ma anche di opposizione, quindi, dovrebbero cogliere questa opportunità, cessando di usare quello della giustizia come un terreno di scontro politico. Ecco perché puntare su modalità diverse significa mettere in discussione tale sforzo. Aggiungo poi che capisco poco come settori radicali possano scegliere quali compagni di strada credibili Salvini e la Lega che in questi anni hanno alimentato paure, giustizia sommaria a colpi di “marciscano in galera”, “buttiamo via la chiave”, in barba ad ogni principio costituzionale di pena come recupero e reinserimento.

Anche i referendum, quindi, rientrano nelle modalità altre. E’ così?
Sì. Nel caso in cui questo Governo e questo Parlamento non riuscissero a fare le riforme allora - e non adesso - si potranno prefigurare dei referendum che comunque dovranno passare il vaglio dell’ammissibilità. Oggi poi abbiamo la possibilità di avere un processo civile di livello europeo che si rivelerà utile per i cittadini, le imprese e gli investitori, abbiamo la possibilità di avere un processo penale di durata ragionevole - nel quale la Costituzione venga rispettata pienamente a partire dal diritto degli imputati ad essere considerati presunti innocenti a quello delle vittime ad avere un esito - e infine abbiamo la possibilità di aiutare quella profonda rigenerazione della magistratura, contribuendo con la riforma del Csm.

E, dunque, qual è la strada da seguire?
Dobbiamo tutti insieme rimboccarci le maniche e lavorare. Anche perché, in caso contrario, oltre a sprecare una grande occasione, perderemmo pure i fondi del Recovery. E questo come Pd cercheremo di impedirlo.

Nel pacchetto presentato dalla Commissione ministeriale voluta dal ministro Cartabia, c’è anche l’ipotesi di precludere ai pm l’appello. Una possibilità che nel 2006, ai tempi del governo Berlusconi, fu fortemente osteggiata dal centrosinistra. Come mai adesso non è più così?
Intanto parliamo di un pacchetto di emendamenti che la Commissione ha elaborato. Sono proposte, alcune multiple. Si tratta di serie ipotesi di lavoro. Molte per noi condivisibili. Noi del Pd, per esempio, abbiamo presentato le nostre e su questi punti prevedono anche l’ipotesi di richiesta di rinvio a giudizio da parte del pm nel momento in cui c’è una fondata aspettativa di colpevolezza. Si tratta di un contributo, naturalmente. Quello delle impugnazioni, infatti, è un tema da trattare con delicatezza senza dare l’impressione né di voler impedire ai procuratori di esercitare l’azione penale e né, al tempo stesso, di poterla esercitare in automatico. Ma neppure, specularmente, di limitare il diritto di difesa. 

Qual è la ratio?
Non rimandare tutto solo al processo. Il tema è selezionare con più rigore le richieste di rinvio a giudizio. Che tradotto significa essere più rigorosi e avvalersi di un sistema d’indagini solidissimo. Su questo tema, comunque, io sono convinto che se si deciderà di deporre le armi tra quegli opposti estremismi che il segretario Letta ha sintetizzato nella contrapposizione giustizialisti versus impunitisti e se si discuterà il merito della questione, si potrà trovare un punto di caduta.

A proposito di giustizialisti, o meglio ex giustizialisti, che ne pensa delle scuse di Di Maio?
Ho considerato importante la lettera al Foglio di Di Maio. Qualsiasi passo vada nella direzione di rendere meno tossico il clima attorno alla giustizia è positivo.

Chiudiamo con il caso Brusca.
Ha ragione il segretario Letta e tutti coloro che lo considerano un pugno sullo stomaco. Il caso Brusca fa male e non lo si può digerire a cuor leggero, tuttavia come ha detto Maria Falcone ma anche Piero Grasso, che è stato magistrato antimafia di primissimo piano, o Luciano Violante, che è stato un magistrato antimafia e antiterrorismo, si tratta di leggi che hanno dato benefici a collaboratori di giustizia e hanno consentito di smantellare e combattere terrorismo e organizzazioni mafiose. Se non ci fossero stati i pentiti con i relativi sconti pena, le mafie nel palermitano non sarebbero state sconfitte come oggi è avvenuto. Noi diamo la caccia a Matteo Messina Denaro, ma l’apice dell’organizzazione responsabile della strage di Capaci è stata colpita grazie a quelle leggi volute da Falcone. E comunque la lotta alle mafie significa oggi impegno per la legalità, contro la corruzione e la penetrazione nell’economia legale, guardia alta contro i rischi di mettere le mani sui fondi del Recovery. E per una permanente educazione alla legalità e al rispetto delle regole.