Politica

Governo, crisi evitata. Ma Salvini resta con il colpo in canna

Massimo Falcioni

Crisi di governo disinnescata, ma Conte naviga a vista

Governo, crisi evitata. Ma Salvini resta con il colpo in canna

Il timer delle elezioni politiche anticipate a settembre è disinnescato ma il governo Conte naviga a vista imbarcando acqua senza che né Di Maio né Salvini facciano niente perché non affondi. Come nel gioco dell’oca si torna alla casella di partenza, così, dopo i ripetuti tre squilli di tromba lanciati dai due vice premier per la battaglia finale, arriva il contrordine con la bandiera bianca che evita, per adesso, il patatrac. La crisi politica c’è ed è solo rinviato l’epilogo. Il messaggio del leader leghista è forte e chiaro: “La crisi è sul tavolo. Si può rompere anche a ferragosto”.

Poi Salvini annuncia la sua presenza mercoledì alla Camera per ascoltare in Aula il premiersul Russiagate. Il vice premier interverrà, ma forse dai banchi della Lega e non del governo. Una sfida, una provocazione, una spada di Damocle sul capo di Conte e di Di Maio? L’affaire russo non pare punire elettoralmente la Lega, addirittura ricompattata e in crescita elettorale di tre punti nei sondaggi. Tanto meno intacca la fiducia su Salvini, con un dato di apprezzamento degli italiani elevato (54 punti, +5 punti). La tensione resta comunque alta. La tenuta della maggioranza non è dovuta a un chiarimento politico o a una mediazione sui principali nodi da sciogliere ma a un corollario di minacce reciproche fra i due partiti, dai leader in giù, a un appiccicare cerotti su ferite profonde, tutt’altro che rimarginate.

Così Di Maio recita la parte del “can che abbaia ma non morde” inchiodato allo scranno e Salvini grida “Al lupo! Al lupo!” ma non fa saltare il banco contento di mostrare i muscoli, a parole padrone dell’Italia senza però l’incombenza di governarla davvero, pronto a scaricare su altri responsabilità e colpe se il governo del cambiamento dovesse definitivamente fallire. Prima o poi la corda si spezza davvero. Prima o poi - dopo le elezioni regionali del prossimo autunno di Umbria e Calabria e soprattutto dopo quelle dell’Emilia Romagna a gennaio con un non impossibile ko del Pd oggi a livello nazionale un punto di percentuale sotto il voto europeo - al voto anticipato si andrà, probabilmente non oltre la primavera 2020. Il tempo e la situazione dei singoli partiti, anche di opposizione, lavorano ancora per Salvini, il cui obiettivo principale è quello di incrementare ulteriormente il consenso alla Lega e tentare poi il pieno alle urne usando pro domo sua le due opzioni: quella della “coalizione larga” (con FDI di Giorgia Meloni o/e con Forza Italia del Cav) o quella della “vocazione maggioritaria” essendo nei sondaggi già ben oltre il 35%. Così, in entrambi i casi, il leader unico e futuro premier è Matteo Salvini. E i 5stelle? Fuori dall’alleanza con la Lega, il M5S perde il governo e parte del suo elettorato, isolato, nell’irrilevanza politica. Ecco perché il 94% dell’elettorato leghista valuta positivamente l’azione del governo. Peggio ancora stanno le opposizioni, sia quelle di centrodestra sia quelle di centrosinistra. E, appunto, si torna alla casella di partenza. Nessuna pace fra Lega e M5S: solo un debole armistizio pro tempore tenuto in piedi da interessi e calcoli politici. elettorali, di potere.  Né Di Maio nè Salvini credono più in questa alleanza ma non vogliono staccare la spina all’esecutivo perché l’elettorato potrebbe punire il partito della crisi. Adesso il rischio è quello di una lenta agonia. Del Paese. Chi pagherà il conto? Di certo lo pagheranno gli italiani.