Politica
Governo, Draghi rassicura sull'efficienza ma nel Paese sale il malcontento
il ceto medio e il mare magnum di artigiani e piccoli-medi imprenditori insieme a milioni di famiglie vivono in bilico sulla soglia della povertà
Draghi è sicuro: "governo efficeinte" ma intanto il ceto medio soffre
Nessun rimpasto perché: “Il governo è efficiente”. Draghi dixit. Ma fuori dal Palazzo sale il malcontento. Le buste paghe mensili, le pensioni, i risparmi vengono erosi dai prezzi impazziti di acqua, luce, gas, benzina. E il governo non va oltre il ruolo del tappabuchi, disarmato contro il caro bollette. Così gli italiani, ancora nella morsa della pandemia, sono sfiduciati e impauriti che domani sarà peggio di oggi vista la mazzata delle bollette, l’aumento dei prezzi su tutti i beni anche di prima necessità, la ripresa dell’inflazione che brucia i risparmi e taglia il potere d’acquisto falcidiando i salari già fra i più bassi d’Europa.
Pensionati, operai e impiegati, tutto il ceto medio e il mare magnum di artigiani e piccoli-medi imprenditori sono con l’acqua alla gola e milioni di famiglie vivono in bilico sulla soglia della povertà. Non stanno meglio le imprese, già in forte affanno dopo due anni di Covid. Ammonisce il presidente di Confindustria Carlo Bonomi: “Il caro energia è la vera mina sulla strada della ripresa italiana”. E sul fronte pandemia, in un quadro nazionale e internazionale in miglioramento, qualcosa andrà pur cambiato nella linea di sostanziale rigidità e chiusura del governo: l’Italia è stata fra i primi ad avviare le restrizioni ed è fanalino di coda nel riaprire ma tuttavia è in testa per numero di morti.
Adesso la punta dell’iceberg del clima crescente di insoddisfazione e di malessere è data dai camionisti che minacciano di fermare il Paese per il caro carburanti: “1200 euro per un pieno di un tir contro i 300 di pochi mesi fa, conviene spegnere i motori”. Non c’è bisogno di tornare al Cile del 9 ottobre del 1972 con l’inizio del blocco dei trasporti che portò poi al golpe di Pinochet e nemmeno ricordare la protesta dei camionisti – in questo caso guidati dai “No-vax” - di due giorni fa in Canada e in queste ore in Francia, per capire l’aria che tira, lontano e vicino, con il rischio, anche qui, di dar fuoco alle polveri.
Questa non è “questione tecnica”, ma politica, che non va lasciata alla viceministra ai trasporti Bellanova ma va presa in mano dall’esecutivo, con in testa il premier. In questo quadro, dove addirittura soffiano venti di guerra “mondiale” per il nodo Ucraina, brillano l’inconsistenza della UE di Bruxelles (ognuno va per conto suo sulla questione Ucraina così come sull’ energia) e in Italia, l’assenza dei partiti. Così la ripartenza tante volte annunciata rischia di diventare una chimera perché c’è un’Italia che annaspa e boccheggia e che teme di non ricevere niente dei 235,12 miliardi di euro del Piano di ripresa e resilienza, un fiume di denaro ad uso e consumo del giro dei partiti e dintorni, alla fine nelle tasche dei soliti noti.
Così può far presa chi grida al tanto peggio tanto meglio, specie se fra quattro mesi, alle elezioni amministrative in mille comuni, con ventitre capoluoghi di provincia di cui quattro anche di regione (Genova, L’Aquila, Palermo, Catanzaro), dovesse prevalere l’astensionismo innescando un processo di sfaldamento democratico. Ecco, come chiamare questa situazione se non di emergenza, anzi, di emergenza continua? Dove sono i partiti, chiusi nelle loro beghe interne e nel teatrino del braccio di ferro fra le coalizioni?
Bisogna chiamare le cose per nome: questa classe politica non è stata capace neppure di trovare un accordo per eleggere il capo dello Stato toccando il fondo della propria inconsistenza e degenerazione politica, con i singoli partiti in mano al burattinaio di turno, costretti a chiedere al presidente uscente di rimanere per salvare se stessi e gli interessi contingenti di potere. La rielezione di Mattarella, presidente di alto profilo, ha evitato il precipitare del Paese nel caos ma non lo fa uscire dalle sabbie mobili. Chiusa così, all’italiana, la “partita Quirinale”, il fatto che già i partiti si aggrappino alla possibilità di un “Draghi bis” dopo le elezioni del 2023, la dice lunga sullo stato della fiera.
Si va diritti verso il punto più basso di una degenerazione dei partiti e della politica senza intravedere vie d’uscita. “A lorsignori – come direbbe il dimenticato Fortebraccio – va bene così”. Senza modificare un “acca” di questo andazzo. Insomma, questa legislatura si avvia a chiudersi peggio di come era iniziata. Il binomio Mattarella al Colle e Draghi premier regge “pro tempore”, come tappabuchi. All’orizzonte il cielo si chiude. Temporale di passaggio o rovinosa tempesta?
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