Politica
"Meloni non tolga la fiamma dal simbolo di Fratelli d’Italia. E Salvini…"
L'editorialista Marcello Veneziani analizza con Affari la situazione del centrodestra nei giorni delle polemiche dopo l'assalto alla sede Cgil
Una mozione per chiedere al Governo di sciogliere Forza nuova e una manifestazione di piazza indetta dai sindacati per sabato. In mezzo le parole, poi in parte ritrattate, del vicesegretario del Pd Giuseppe Provenzano: ecco cosa si è messo in moto sul fronte politico dopo i fatti di sabato nella Capitale, con l’assalto alla sede della Cgil. Intanto, dalle colonne di Affaritaliani.it, il professor Paolo Becchi rilancia la questione della fiamma nel simbolo di Fratelli d’Italia perché, sostiene, “una destra che abbia una qualche continuità con quel passato difficilmente può aspirare a governare il Paese”. Il nostro giornale ne ha parlato con Marcello Veneziani. L’editorialista e scrittore, però, sul tema è di tutt’altro avviso: “Alla fine - dice - sarebbe un’ammissione di colpa gratuita per un fatto non commesso”.
Secondo lei, quindi, non sarebbe d’aiuto?
Non credo che possa aiutare anche perché la fiamma risale a un partito che è stato per 50 anni in Parlamento. Un partito che aveva le sue idee, probabilmente anche residui nostalgici, ma che ha comunque osservato le regole della democrazia, l’ha rispettata ed è stato alla fine riconosciuto pure dagli avversari. Sarebbe assurdo, quindi, accettare delle pressioni psicologiche che sono diventate insostenibili e improprie. Questo partito non ha nulla a che vedere con i pochi facinorosi che hanno aggredito la sede Cgil.
Ammetterà che, ragionando nell’ottica di un centrodestra che aspira a governare, questo simbolo può essere un ostacolo.
Se la fiamma diventa un ostacolo, eliminato questo se ne troverà subito un altro, magari nel passato della Meloni. E poi, chissà, un altro ancora nella storia di Ignazio La Russa. Diventerebbe, insomma, una corsa a ostacoli. Ecco perché non bisogna accettare il gioco degli avversari, ma andare avanti per la propria strada, compiere iniziative in positivo di apertura al mondo. E non di chiusura verso quello di provenienza.
Passiamo alla Lega. Secondo lei Salvini si salva solo se guarda al centro e magari entra nel Ppe?
Io credo che Salvini sia combattuto - come per altri versi la stessa Meloni - tra la necessità di conservare il consenso popolare e quella di ricevere l’assenso dei poteri che contano. Trovare un punto di equilibrio diventa difficile. Certo, in teoria, entrare nel Partito popolare sarebbe positivo, ma nel momento in cui anche il leader ungherese lascia il Ppe è più utile fare un altro gioco piuttosto che accodarsi.
Quale gioco?
Entrare nella casa dei conservatori, che possono essere una valida alternativa.
In che senso?
Il conservatore può mantenere una sua dignità senza inseguire Merkel o von der Leyen, può avere una sua autonomia nella piena legittimazione europea e democratica. In questo modo la Lega non si mostrerebbe subalterna a Forza Italia.
A proposito di Forza Italia, l’adesione al Governo Draghi sembra giovare al partito di Berlusconi. Il test delle amministrative è sintomatico di una nuova giovinezza per il Cav?
La lettura che si fa è molto falsa. La realtà, a mio parere, è una sola: la destra da sola non vince e il centro da solo tanto meno. E’ necessario, quindi, che si coalizzino per potere prevalere in una competizione elettorale. Se poi andiamo nello specifico di ciò che è successo alle elezioni fino ad ora, allora bisogna dire che non è stato bocciato un solo candidato sindaco che fosse troppo di destra o troppo sovranista. Mentre sono stati bocciati i candidati moderati, liberali, popolari, quelli teoricamente dell’area di centro. Farebbero bene a lavorare per trovare motivi di sintesi e non di egemonia, che sarebbero davvero insensati. In passato Berlusconi egemonizzava l’area ed è un dato di fatto, ma oggi non si può cercare di capovolgere il consenso popolare, illudendosi che Fi stia rinascendo.
Intanto, dopo quanto accaduto a Roma, il Pd ha presentato una mozione per lo scioglimento di Forza nuova. E’ la direzione giusta?
Per prima cosa io penso che le decisioni di scioglimento dovrebbero spettare alla magistratura. Si tratta poi di questioni che andrebbero affrontate non prima di un ballottaggio, quando è evidente la ragione emotiva per cui vengono agitate. Ma c’è una terza obiezione.
Quale?
Credo che forze politiche serie dovrebbero dare la possibilità a tutti all’interno del Parlamento di sottoscrivere una mozione del genere. Detto questo, comunque, ritengo che il problema non sia questo e soprattutto non si risolva così.
Come si risolve, allora?
Una volta individuati i facinorosi - non si parla di folle, ma di unità o alcune decine - se ci sono reati penali, i soggetti responsabili dovranno scontarli. Ieri c’è stata una manifestazione dei comunisti contro la Cgil, non credo che si debba parlare di scioglimento. Anche qui, se si commettono reati, le singole persone ne rispondono. E’ inutile fare processi politici. Seve solo per dare una sanzione ideologica e non effettiva.
E della manifestazione di sabato indetta dai sindacati che idea si è fatto?
Se si mette insieme a tutta l’orchestrazione di questo periodo di campagna elettorale – la questione Jonghi Lavarini, i fondi neri e le presunte dichiarazioni antisemite del candidato sindaco di Roma Michetti – è evidente che ci sia un disegno politico. Un disegno che, però, mi pare inefficace. Non credo che sposti voti perché chi è di sinistra sarà ancora più motivato ad andare a votare e chi è di destra altrettanto.