Politica

La gloriosa Milano degli anni 80 raccontata ad Affari da Paolo Pillitteri

di Mirko Crocoli

Di lui Feltri dirà: (…) “…è un soggetto mite, riflessivo e intelligente: ha attraversato situazioni felici e dolorose senza ricavarne sentimenti negativi. Narra la propria storia evitando di ergersi a protagonista o a vittima. Una storia ricca di episodi degni di essere rammentati perché dimostrano l’infinitezza delle risorse italiane, milanesi soprattutto. Impararla comporta la conoscenza profonda di un signore della politica e della cultura che - complice chi scrive - è stato bistrattato gratuitamente, quando invece meritava rispetto e addirittura gratitudine”.

L’esuberante e ravveduto direttore di Libero si riferiva a Gianpaolo “Paolo” Pillitteri - Sindaco di Milano dal 1986 al 1992, deputato del PSI nella IXª e XIª legislatura, docente di storia del cinema alla IULM, giornalista e Condirettore de “L’opinione delle Libertà”, testata fondata dal compianto Arturo Diaconale – che, da poco, ha varcato l’importante traguardo delle 80 primavere. Tantissimi e nostalgici i meneghini che si sono accodati per gli auguri all’ex primo cittadino, il quale oggi, in un periodo così difficile per la sua comunità, ha deciso di farci immergere in una suggestiva atmosfera che riporta la mente ai momenti più belli della storia di questo addolorato Paese.

Correvano gli Ottanta, alcuni li definirono i “magnifici”, altri gli “indimenticabili”, altri ancora (gli americani) semplicemente “The Craxi Year’s”, gli anni di Craxi, e la città metropolitana di Carlo (Tognoli) prima e Paolo poi fu la vera locomotiva di una nazione già proiettata verso il futuro e tra le più importanti e raggianti del mondo. A fine 2020, sicuramente il più duro dal secondo dopoguerra, in una situazione a dir poco impensabile (zona rossa, lockdown, contagi, chiusure, sofferenza e morte), Pillitteri, con i suoi modi cordiali e perbene, ci dona un ricordo prezioso con la speranza che, un giorno, non troppo lontano, la sua terra torni a splendere come un tempo.               

Ma ascoltiamo il “tuffo” dell’ ex sindaco nella sua amata Milano della stagione d’oro, quella che - egli stesso definisce con trasalimento - della “gioia di vivere”!        

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Era la primavera del 1987. Il settimanale “Tv Sorrisi e Canzoni” aveva fatto un’indagine. Alle domande “quale è la città più bella?” e ”in quale città vorresti vivere?”, la stragrande maggioranza aveva risposto MILANO.  Milano era in testa ai sogni degli italiani come una piccola ed efficiente New York, la Grande Mela. Come la Grande Mela era dinamica, lavorava, non si fermava mai, cresceva. La gente indaffarata ma allegra, guardava i “lavori in corso” per tutta la città, la costruzione della  nuova Metropolitana, con delle macchine meravigliose che scavavano, e si vedevano gli operai con l’elmetto giallo e sui tabelloni la scritta “LA LINEA TRE AVANZA”, e avanzava, giorno dopo giorno.

In effetti questo slogan del Comune di Milano su una linea metropolitana che avanzava in un città viva ed effervescente fu anche l’idea centrale che ispirò lo spot più famoso di quegli anni, come ricordava spesso il suo autore, Marco Mignani. Lo slogan esprimeva una promessa che si stava realizzando sotto gli occhi di tutti i milanesi, e per questo, quella promessa si sposò benisssimo con lo slogan Milano da bere o, meglio ancora e soprattutto, Milano da vivere perché quelle immagini raccontavano una città serena, tranquilla: “Questa Milano, che rinasce ogni mattina, e pulsa come un cuore. Una città positiva, ottimista, efficiente. Questa Milano da vivere, da sognare, da godere. Questa città da bere”.  

Era, quella degli ‘80, una città che aveva lasciato alle spalle un’altra Milano: buia, smorta, affaticata, preoccupata. C’era stato il decennio precedente, una lunga stagione politicizzata, sindacalizzata, la  politica delle e per le masse, anni di terrorismo, dalla strage di Piazza Fontana all’assassinio del giudice Alessandrini e del giornalista Walter Tobagi. Sono gli anni  nei quali la città si è chiusa in sé stessa, ha avuto paura.

Il cambio, la svolta, il nuovo, è annunciato da un evento dimenticato: la “Marcia dei Quarantamila” che si tenne a Torino nell’ottobre del 1980, protesta inedita dei quadri e degli impiegati medi della Fiat contro i picchetti dei sindacati che impedivano di andare al lavoro.

Negli Ottanta, Milano diventa l’epicentro di un risveglio che possiamo definire epocale, perché chiude definitivamente un decennio e ne apre un altro e che vede la nascita della prima televisione privata, grazie a un tycoon come Berlusconi, con il rafforzamento della pubblicità che ne accompagna l’affermazione mentre esplode - è proprio il caso di dirlo - il mondo della moda, il cui successo nell’espansione e nella crescita conquista la ribalta mondiale con grandi riscontri di immagine, della quale sono portatrici le alte, belle, snelle e “distratte” modelle che si incontrano in Via Montenapoleone, in San Babila, in Via Manzoni, nel quadrilatero della moda.

C’era come un fremito che percorreva la città: “la gioia di vivere”.

Eppure, alle spalle di due “rivoluzioni”, quella televisiva e quella della moda, c’è la Milano che lavora, che produce, che crea e impone i suoi autori, attori, spettacoli e i suoi designers, i suoi stilisti, le sue conquiste, anche perché dietro il boom non ci sono miracoli  né prodigi né giochi d’artificio, ma l’impegno, il coraggio e lo spirito d’iniziativa, l’esplorazione di nuovi orizzonti, l’orgoglio imprenditoriale.

Un ricordo personale: in occasione della visita a Milano del Principe Carlo d’Inghilterra gli chiesi perché non fosse accompagnato da Lady Diana. Lui rispose: “Perché alla vista dei vostri negozi, sarebbe entrata e mi avrebbe reso povero!” Poi ci recammo alla prima della Scala e rimase letteralmente stupefatto per l’eleganza e l’entusiasmo del pubblico.

La Milano da vivere, da gustare, la città che riapriva i negozi, alzava le saracinesche. La gente riprese a uscire per le strade, nelle piazze, nei nuovi ritrovi della Milano by night dove molti ristoranti lavoravano con candele sul tavolo, e le coppie mormoravano discrete nei bar all’aperto di Brera, sui Navigli, in Via Rovello; luoghi rinati, riscoperti, restituiti a quel fremito: “la joie de vivre”.

Gli ottanta sono anche un periodo di modernizzazione, di riforme, di stabilità politica simboleggiato dalla personalità di Bettino Craxi, milanese, premier che sapeva decidere, sia per la Scala Mobile che per Sigonella, che convocava nella sua città i maggiori leaders, come Mitterrand, Soarez, Brandt in previsione di una autentica unità europea, che riaffermava, nelle scelte interne e internazionali, la sua vocazione riformista che coincise con la sconfitta del comunismo e il crollo del muro di Berlino. L

’equazione fra Craxi e modernizzazione, dopo la ingiusta damnatio memoriae, è da molte parti (vedi Marco Gervasoni di “Quando eravamo moderni” ed. Marsilio) riscoperta e aggiornata offrendo una lettura molto meno superficiale di un periodo storico del quale si può dire che “entrare negli anni Ottanta era come entrare nel futuro”.

Certo, sono gli anni delle Timberland, degli yuppies, dell’edonismo reganiano, del divertissement ironico, di una città come un set, come un palcoscenico dove però la rappresentazione non era  finzione, fiction, effimera, tutt’altro e cui fanno da controcanto autorevole le copertine delle maggiori riviste internazionali, come quella di “TIME” con Milano e il punto esclamativo che sancisce il trionfo del Made in Italy. E il marchio doc di una città.

E dopo, e ora? Ai posteri la non ardua sentenza.