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Politica
La Russa scomodo per la maggioranza. Meloni prova a frenarlo, ma...

A ogni gaffe, nel partito corrisponde un’alzata di spalle, «sappiamo com’è fatto...». Ora, però, lo sguardo imbarazzato non basta più. Verso di lui il sentimento è sempre oscillato dall’affetto allo sconcerto. Con una prevalenza del secondo, man mano che le figuracce aumentano. Nessuno osa attaccarlo in pubblico, ma la questione è ben presente negli sfoghi dei dirigenti. Meloni si è anche trovata costretta a censurarlo pubblicamente, quando lo scorso aprile, tra gli stand del Vinitaly, definì «sgrammaticatura istituzionale» le frasi in libertà sulla strage di via Rasella. Le posizioni su fascismo e Resistenza hanno costretto il partito e quindi di fatto anche Palazzo Chigi a giocare in difesa per varie settimane, fino al 25 aprile, causando un danno d’immagine notevole.

Il potere gli derivava poi dall’innegabile capacità nelle trattative, nelle quali La Russa sa alternare momenti di amabilità a un tratto aggressivo, quasi brutale, finalizzato a piegare la controparte. Quando le vicende si complicavano, gli alleati non si piegavano o un candidato non si voleva ritirare, c’era Ignazio. Il problema, però, è che Ignazio c’è ancora sfidando apertamente l’etichetta istituzionale. Le cronache, ricche di testimoni, raccontano che il presidente del Senato è entrato in molte vicende locali, da Imperia alla Regione Lombardia, dove ha preteso un posto in giunta per il fratello Romano, creando forti malumori nel partito e nella coalizione. Insomma, non si è fatto ingabbiare, ma nella sua gabbia rischia di entrare tutto il partito.

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