Politica
Lazio: l'appello al patto tra Pd e M5S cadrà nel vuoto. Il "niet" di Calenda
Oltre 4.200 firme per chiedere un accordo in extremis tra Conte e Letta, ma il Terzo Polo si mette di traverso
Tra scelte regionali e nazionali, il centrosinistra rimane frammentato
Ha già superato quota 4.200 firme l'appello lanciato il 3 gennaio sul Manifesto da Fabrizio Barca, Tomaso Montanari, il premio Nobel Giorgio Parisi e altri intellettuali che spingono per un'alleanza elettorale tra Pd e M5S anche nel Lazio, come in Lombardia. Un'iniziativa dell'ultima ora, volta a sconfessare la “scommessa elettorale autolesionista che sarà pagata da cittadine e cittadini del Lazio” e a rimediare alla “scelta incomprensibile di presentarsi divisi contro il candidato del centrodestra Francesco Rocca”, che, secondo molti, “rende sostanzialmente inutile la competizione elettorale del 12 febbraio”.
Nonostante la larga partecipazione popolare, è destinato a cadere nel vuoto anche questo tentativo in extremis di ricomporre l'asse giallorosso, come peraltro si era intuito dal “niet” di Donatella Bianchi, l'ambientalista candidata dal M5S, alla proposta di ticket da parte di Alessio D'Amato, che il Pd propone per la successione di Nicola Zingaretti.
La frattura pare insanabile sebbene D'Amato faccia parte dell'attuale giunta del Lazio, sostenuta dal patto Pd/M5S, e abbia riscosso un buon gradimento popolare come assessore alla Sanità, soprattutto nei momenti più difficili della pandemia di Covid-19. Conte spiega la rottura (anche) col fatto di essere stato scavalcato sui programmi e il termovalorizzatore di Roma è un argomento ricorrente, anche se poi in Lombardia si è trovata la quadra con Del Bono (sindaco di Brescia), che la pensa come il collega Dem Gualtieri.
Sebbene in politica non si possa mai dire mai, un ripensamento dell'ultima ora viene escluso categoricamente dagli insider, anche perché in questo matrimonio c'è un terzo incomodo del quale non si può non tener conto: Carlo Calenda. Il leader di Azione ha subito chiuso le porte all'alleanza proposta da D'Amato, spiegando che se il candidato Pd avesse guadagnato il sostegno dei M5S allora il Terzo Polo avrebbe tirato fuori un nome alternativo. Quindi, quand'anche da parte di Conte ci fosse stata la tentazione di un ritorno di fiamma nei confronti di Letta (e francamente non è che l'ex Premier scalpitasse), sarebbe comunque subentrata una ragione di opportunità: senza il 6-7% di cui il Terzo Polo è accreditato nei sondaggi, sarebbe comunque difficile produrre una somma capace di superare il centrodestra. E, a quel punto, tanto vale persistere con una scelta identitaria.
Lo stesso, su posizioni opposte, pare pensare Calenda, che pur non di non stare nella stessa squadra di Conte, ha scelto la politica dei due forni: alleato col Pd nel Lazio, ma schierato contro in Lombardia, dove sostiene Letizia Moratti. Tutti i sondaggi danno l'ex Sindaca di Milano destinata al terzo posto con un abbondante distacco da Attilio Fontana e Pierfrancesco Majorino.
Per questo, secondo i rumors, serpeggia un certo malumore tra militanti e candidati, ma non al vertice: il progetto del duo Calenda-Renzi pare essere più di medio-lungo periodo, nell'ipotesi che prima o poi il governo Meloni abbia bisogno di una stampella in Parlamento, magari da parte di una forza che pure sul territorio possa dire la sua, anche dall'opposizione. Fa discutere anche il fatto che ci si ponga come competitor del Pd in Lombardia, quando a Milano e in altri comuni si governa insieme senza problemi, ma questo sembra davvero in secondo piano, come tra Dem e M5S per quanto riguarda il Lazio. Semmai qualche elettore penserà al voto disgiunto, poiché più “utile” per vincere, ma tra i dirigenti prevalgono gli interessi nazionali. E, anche per le note difficoltà del Pd alla vigilia del congresso, le posizioni sono ormai assodate.