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Politica
Lega, Salvini e la svolta. La riunione 'storica' e la lite con la Meloni
Foto: LaPresse

L'apice della tensione tra la Lega e Fratelli d'Italia, quasi inevitabile dopo la decisione di Matteo Salvini di partecipare al governo Draghi e di Giorgia Meloni di restarne fuori, si è raggiunta a Montecitorio quando al momento del voto della fiducia all'esecutivo il deputato reggiano Gianluca Vinci, ex segretario del Carroccio dell'Emilia Romagna, ha votato no lasciando la Lega per passare con il partito di Giorgia Meloni.

Ma ciò che pochi sanno, anche se i rumor sul cambio di casacca circolavano da giorni, è che dopo la camminata sotto la banco della presidenza e al fianco del governo ad attendere Vinci c'era un drappello di deputati (7 o 8) di Fratelli d'Italia che hanno applaudito vistosamente congratulandosi con pacche sulle spalle con l'ormai ex parlamentare salviniano. "Una sceneggiata che potevano francamente risparmiarsi", commentano dalla Lega.

Il tutto all'indomani di quanto è accaduto a Palazzo Madama dove tra un gruppetto di senatori di FdI e uno di leghisti c'è stato un battibecco con parole non certo degne di una sede instituzionale. Insomma, veri e propri insulti. D'altronde in Via Bellerio accusano il partito della Meloni di operare un vero e proprio scouting tra le file del Carroccio, dopo il passaggio, oltre a Vinci, dell'europarlamentare Vincenzo Sofo e del capogruppo in Regione Basilicata Tommaso Coviello.

Ufficialmente la linea di entrambi i partiti dell'ormai ex fronte sovranista è quello di non spararsi addosso a vicenda, per non mettere a rischio le 14 giunte regionali (oltre alle moltissime comunali) e per non ostacolare l'imminente campagna elettorale per le Amministrative di primavera. Resta il fatto che dietro le quinte i toni sono pesantissimi. Si va dai "fascisti" contro FdI ai "venduti amici della Boldrini" per la Lega.

Salvini tira dritto e con o senza Meloni lavora a completare la squadra di governo. Tra i sottosegretari possibili in quota Lega è corsa per il Viminale tra i due ex del Conte I, Nicola Molteni (che piace poco alla sinistra) e il 'moderato' Stefano Candiani. Quasi sicuro il ritorno alle Infrastrutture ai Trasporti del ligure Edoardo Rixi, così come dell'emiliana Lucia Borgonzoni alla Cultura. Probabile anche che rivedremo Claudio Durigon al Lavoro e Vannia Gava, friulana di Pordenone, all'Ambiente.

Gian Marco Centinaio si è già chiamato fuori proprio ad Affaritaliani.it dalle voci che lo davano alla Salute. Resta il fatto che per la Lega la geografia conta molto e avendo due ministri su tre lombardi, dei 6-7 sottosegretari in quota Salvini solo uno potrà arrivare dalla Lombardia. Fuori quindi Dario Galli. Discorso a parte per la suggestione, questa è al momento, di Tony Iwobi, senatore eletto nella circoscrizione Bergamo-Brescia agli Esteri. Iwobi è di origini nigeriane ed è il primo senatore di colore della storia della Repubblica. Fonti leghiste assicurano che ci sarà anche un sottosegretario del Sud e gli ultimi rumor non escludono che possa essere il pugliese Rossano Sasso all'Istruzione. Perfino gli ormai ex euroscettici Claudio Borghi e Alberto Bagnai ambiscono a una poltrona (o uno o l'altro) di sottosegretario all'Economia. Sembra invece decaduta l'ipotesi di Giulia Bongiorno alla Giustizia.

E infine la svolta europeista e moderata che ha portato la Lega a entrare nel governo di "alto profilo" guidato dall'ex presidente della Bce. Tutto nasce da una riunione che si è svolta negli uffici del gruppo di Montecitorio subito dopo l'incarico a Draghi da parte del Presidente Sergio Mattarella. Presenti i parlamentari, da Salvini all'attuale ministro dello Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti, e con i Governatori collegati via zoom.

Il segretario ha ascoltato tutti, con Giorgetti, Zaia e Fedriga che hanno guidato il fronte di chi chiedeva un atto di responsabilità e di aderire all'appello del Capo dello Stato. "Se stiamo all'opposizione non prendiamo palla, almeno dall'interno possiamo condizionare le scelte del governo", avrebbe detto il Governatore del Veneto. "Se appoggi il governo Draghi ti avvicini al Ppe e alle prossime elezioni in Europa nessuno avrà più paura dell'ipotesi Salvini premier", avrebbe osservato Giorgetti.

Ma - raccontano fonti leghiste che erano presenti a quella riunione decisiva per la storia della Lega e per le sorti della politica italiana - nessuno si sarebbe espresso contro la partecipazione all'esecutivo Draghi. Via libera anche dai due capigruppo, Massimiliano Romeo e Riccardo Molinari, così come dai segretari regionali. Qualche resistenza, o forse sarebbe meglio parlare di dubbi, da parte dei responsabili della Lega delle Regioni del Sud per il timore di un passaggio di esponenti verso Fratelli d'Italia. "Il Nord produttivo (ex padano) delle partite Iva e dei piccoli imprenditori vuole fatti e guarda al portafoglio e non all'imbarazzo di governare con il Pd e Leu", spiega un deputato lombardo di lungo corso.

E così alla fine Salvini ha preso qualche ora per riflettere e ha comunicato la sua decisione di entrare nel governo Draghi, ovviamente se ci fossero state le condizioni. Tutti in Lega sanno che vanno ingoiati non pochi rospi, dall'addio alla Flat Tax (per ora) fino all'apertura all'Ue e all'euro (non più "moneta criminale") passando per un ammorbidimento dei toni sull'immigrazione (rimpatri in sede europea e non più porti chiusi). Ma la scommessa è quella, come hanno sostenuto proprio in quella riunione sia Giorgetti sia Zaia, di trasformare il Carroccio in un partito liberale, moderato, federalista sul modello della Csu bavarese, l'ala più conservatrice della Cdu tedesca di Angela Merkel. Ma ovviamente che non valga solo per una Regione o una parte di territorio (come era all'epoca di Bossi e Miglio), ma per tutta l'Italia. Da qui il nuovo motto più Italia in Europa.

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