Politica
Legge elettorale, il 2020 si chiude in stallo. Palla a Conte e leader
Il tavolo di maggioranza con i capigruppo e il ministro Federico D'Incà non è stato che la presa d'atto di uno stallo che andava avanti già da mesi
Al numero 10 del programma in 29 punti del governo Conte 2, c'erano le riforme e la legge elettorale. Il pacchetto di contrappesi - frutto di lunga trattativa - per rendere organica la riforma del taglio del numero dei parlamentari, fu uno dei pilastri dell'accordo dell'esecutivo giallorosso. Il Pd aveva sempre votato contro la 'norma bandiera' dei 5 Stelle. Il pacchetto di contrappesi era la garanzia di 'potabilità' per i dem. A più di un anno da quell'accordo, il taglio del numero dei parlamentari è definitivo dopo l'esito del referendum, il governo ha approvato il decreto che ridisegna i collegi alla luce della riduzione di deputati e senatori.
E i contrappesi? Ancora da approvare. Tanto che, non appena sarà convertito in legge il decreto sui collegi, ci sarebbe un sistema elettorale pronto per l'eventualità di un voto anticipato. Con tutte le distorsioni del caso, però. Specie sul Senato. Le regioni medio-piccole rischiano di eleggere uno o due senatori, tagliando fuori in partenza alcune forze politiche dalla rappresentanza. Di qui, la necessità di cambiare la legge elettorale. Ma il 2020 che era iniziato con un accordo tra le forze di maggioranza (tranne Leu per la riserva sulla soglia di sbarramento) che avevano sottoscritto un testo di riforma - il Brescellum, proporzionale con soglia al 5% - chiudono l'anno peggio di come l'avevano cominciato: l'accordo sul Brescellum è saltato. Italia Viva chiede di procedere prima con la riforma dell'architettura istituzionale - ovvero il superamento del bicameralismo - e solo dopo passare alla legge elettorale. La fotografia del fallimento della trattativa si è avuta nelle scorse settimane: il tavolo sulle riforme nato dopo l'incontro tra il premier Giuseppe Conte e i leader della maggioranza è stato chiuso per 'stallo'. Impossibile andare avanti. La palla è stata rimandata ai leader.
Il tavolo di maggioranza con i capigruppo e il ministro Federico D'Incà non è stato che la presa d'atto di uno stallo che andava avanti già da mesi. Tutto è accaduto nell'estate dopo la prima ondata del Coronavirus. Ai primi di luglio quando, con il Brescellum già incardinato in commissione e avviato all'esame dell'aula, Matteo Renzi se ne uscì con una enews che di fatto stoppava tutto. "La priorità deve essere la crescita, non la legge elettorale. Se proprio vogliono mettere mano, per noi di Italia Viva il messaggio è molto chiaro: si faccia una legge maggioritaria, la legge dei sindaci, in modo che la sera delle elezioni si sappia chi ha già vinto". Da quello stop non si è mai tornati indietro. O meglio, andati avanti. Su pressing del Pd, il Brescellum venne comunque calendarizzato per l'aula.
La data era quella del 27 luglio. Ma la legge non è mai andata all'esame di Montecitorio. Con settimane di scambi di accuse tra Pd e Iv con i dem a ricordare ai renziani l'accordo sottoscritto sul Brescellum e poi tradito. Ovvero la nota firmata a gennaio da Marco Di Maio, rappresentante Iv al tavolo, nella quale si giudicava "un fatto positivo l'iniziativa annunciata dal presidente Brescia, la soluzione di agire sulla legge elettorale vigente adottando un sistema proporzionale con soglia di sbarramento al 5% è una base su cui avviare il confronto in Parlamento".
Ma Iv smentisce la sottoscrizione dell'accordo. "L'attuale testo in discussione alla Camera non è stato né proposto né sottoscritto da Iv, nessun deputato lo ha firmato, è un'iniziativa del presidente Brescia", ribatte il renziano Di Maio. Poi alla ripresa dei lavori parlamentari dopo l'estate, su pressing del Pd, alla fine c'è stato un passo avanti: la commissione Affari Costituzionali lo scorso settembre ha adottato il Brescellum come testo base. Grazie all'astensione di Iv (e di Leu sempre per la questione soglia di sbarramento). Ma lì ci si è fermati.
La questione è stata quindi portata a un tavolo ad hoc, quello appunto nato dopo il vertice tra Conte e i leader della maggioranza ai primi di novembre. Un fiasco. Nessun avvicinamento nelle posizioni. E la palla è stata quindi rilanciata a Conte e ai leader, unici 'titolati' a sbrogliare una matassa tutta politica. Non questioni tecniche su soglie, preferenze e via dicendo ma l'impostazione da dare a un disegno organico di riforme istituzionali.
Iv chiede il superamento del bicameralismo paritario prima della legge elettorale, M5s e Leu non ne vogliono sapere mentre il Pd è favorevole a mettere mano all'attuale assetto, ma suggerisce intanto di andare avanti con il cantiere già aperto, in maniera graduale. Veti incrociati e la constatazione di uno stallo ha indispettito ulteriormente il Pd: "Siamo stati sempre disponibili ma inutilmente", dunque, "ora i nodi vanno sciolti rapidamente.
La responsabilita' della sintesi spetta a Conte che guida la coalizione", sottolineano in una nota congiunta i capigruppo Delrio e Marcucci. Intanto, però, prima delle riforme la maggioranza deve trovare la quadra su altro. Il piano e la governance del Recovery. Comunque vadano a finire le fibrillazioni che stanno agitando da settimane il governo Conte, dal Pd è arrivato chiaro il messaggio: se tutto dovesse precipitare, per i dem l'unica strada sono le elezioni. Il Rosatellum nuova versione con i collegi ad hoc dopo il taglio del numero dei parlamentari, del resto, è pronto.